La testimonianza/Giulio, pugliese in Ucraina: «Non scorderò mai le urla e tutta quella gente ammassata»

La testimonianza/Giulio, pugliese in Ucraina: «Non scorderò mai le urla e tutta quella gente ammassata»
di Paola ANCORA
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Giovedì 3 Marzo 2022, 10:49 - Ultimo aggiornamento: 7 Marzo, 10:09

Più assordanti delle bombe che hanno distrutto interi quartieri a Kharkiv, nell'Ucraina orientale, ci sono i pugni contro le porte del treno in partenza per Leopoli, a soli 70 chilometri dalla Polonia, dalla frontiera, dalla salvezza europea. «Quel rumore sordo, le urla, la gente ammassata come mai ne avevo vista mi resteranno negli occhi per sempre» racconta Giulio Cipriani, 49 anni, pugliese di Ruvo, dall'hotel dove ha trovato rifugio, dopo 25 ore di viaggio, insieme alla sua compagna ucraina Katia e ai figli di lei, Oscar e Szlata, 16 e 14 anni. La loro casa è stata bombardata: sono fuggiti solo con quello che avevano addosso, mentre dal cielo la Russia si concentrava «su centinaia di obiettivi civili, su interi quartieri residenziali, sui parcheggi».
Dove si trova ora, come state?
«Ora meglio. Siamo stanchi, ma pronti a ripartire per la frontiera. Non so ancora come faremo. Con noi ci sono anche moglie e figlia di un vicino di casa ucraino rimasto con il figlio maggiore a combattere. La legge marziale vieta agli uomini dai 18 ai 60 anni di lasciare il Paese. È lui ad averci portati in stazione: ci ha aiutati a salire sul treno. Non so, altrimenti, se ci saremmo riusciti».

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Perché?
«Non ho mai visto in vita mia un treno così carico. Il capotreno è stato costretto a sigillare le porte per riuscire a partire. Il treno si è messo in moto mentre la città veniva bombardata e a ogni stazione c'erano migliaia di persone ad attenderci, tantissime donne con i bambini a colpire ripetutamente i vetri chiedendo di salire. Il viaggio è durato un giorno intero».
Quando ha deciso di fuggire? Perché non siete partiti prima?
«Giovedì scorso ci siamo svegliati con il rumore delle bombe, ma per un paio di giorni siamo riusciti a vivere nella normalità. Speravamo fosse una semplice manifestazione di forza di Putin, che si sarebbe presto conclusa. Invece lunedì la situazione è degenerata: i bombardamenti sono andati avanti tutta la notte, per le strade hanno cominciato a distribuire le armi - prima esibendo il passaporto e poi senza nemmeno quello - e il nastro arancione da mettersi al braccio, per farsi riconoscere. Le esplosioni si sono avvicinate a casa fino a quando non è stato colpito anche il nostro palazzo. Ci siamo messi al riparo, poi siamo scesi in strada».
Cosa si è trovato davanti?
«Ci siamo resi conto che gli obiettivi erano tutti civili. Hanno colpito palazzi e quartieri residenziali. Fortunatamente in qualche caso le bombe hanno sfondato i solai, ma non sono esplose. Non siamo più potuti rientrare in casa: c'era una perdita di gas, era troppo pericoloso. E ci siamo trasferiti a casa di mia suocera. Da quel momento le cose sono andate sempre peggio e abbiamo deciso di scappare».
Cosa siete riusciti a mettere in salvo?
«Niente. Siamo fuggiti con quello che avevamo addosso. Sono riuscito a prendere solo lo zaino con il pc e il mio vicino ci ha portati in stazione, ci ha affidato moglie e figlia. Riuscire a salire su quel vagone è stata una guerra: sembrava Kabul, quando all'arrivo dei talebani gli aeroporti vennero presi d'assalto».
Avete raggiunto Leopoli, dall'altra parte del Paese. Com'è lì la situazione?
«Migliore che a Kharkiv. Suonano le sirene per annunciare i raid aerei, ma ce ne sono meno che nella nostra città. I negozi sono ancora aperti, il coprifuoco inizia alle 22 e non alle 15. Questo ci consente di valutare quale confine raggiungere e aiutare i ragazzi ad affrontare tutto questo. Con la piccola è più semplice: le ho promesso che in Italia andremo subito a fare shopping perché non ha niente con sé. Oscar nel viaggio ha realizzato che andiamo via e che non sappiamo se potremo mai tornare qui. A quell'età non è semplice. E non lo è nemmeno per i più grandi: i miei suoceri, tanti amici non hanno voluto lasciare l'Ucraina».
Glielo ha proposto?
«Certo. Ma qui hanno tutto quello che hanno costruito in anni di fatica, di sacrifici. Non si può scappare a cuor leggero dalla propria vita. E Putin non ha considerato il forte orgoglio di questa gente: aveva tanti sostenitori a Kharkiv, ora non più».
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