Terrorismo, ecco la rete jihadista tra Bari e Parma

Terrorismo, ecco la rete jihadista tra Bari e Parma
di Vincenzo Damiani
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Giovedì 10 Dicembre 2015, 08:49 - Ultimo aggiornamento: 09:00

BARI In meno di un anno, il presunto terrorista iracheno Majid Muhamad era diventato a Bari un punto di riferimento per una fetta della comunità islamica del capoluogo pugliese. Da gennaio sino a venerdì scorso, giorno del suo arresto da parte della Digos, era riuscito ad attrarre attorno a sé giovani immigrati: georgiani (ce ne sono quasi 3mila in città), ma anche marocchini, pachistani, iracheni. La sua kebabberia nel centralissimo rione Murat, in via Davanzati, era un luogo di ritrovo e aggregazione.

E' proprio la sua capacità di imporsi come leader che fa sorgere un sospetto tra gli inquirenti: Majid Muhamad potrebbe aver fatto proselitismo, in città come nel Cie del rione San Paolo durante il periodo di detenzione, potrebbe aver convinto altre persone a sposare la sua «causa». Quale? Quella di cui parla lo stesso 45enne iracheno e che viene riportato negli atti dell'inchiesta coordinata dal pm della Dda, Roberto Rossi. Al telefono con la moglie, Muhamad parla di una «causa» da portare avanti, quasi certamente ideologica legata alla jihad, secondo la Dda.

L'INTERCETTAZIONE
La telefonata è datata 12 marzo 2015, i due litigano perché la donna, che vive in Iraq, lo rimprovera per i «suoi comportamenti pregressi e attuali». Majid, allora, inveisce e le urla: «Questa è la mia causa...». A cosa si riferisce? «Sono stato in carcere per 12 anni - le ricorda il 45enne - Io non ho messo nessuna bomba, non ho ucciso nessuno, non ho fatto niente. Ho parlato al cellulare con quattro persone senza cervello che dicono che il gruppo non conosce Dio, che sono infedeli. Questi sono gli infedeli che tu dici.

Fino ad ora non mi hanno detto nulla di male. Capito? E fino ad ora non mi hanno dato nessuno schiaffo. Fino ad ora non hanno mangiato i miei soldi. Questi sono quelli che tu chiami infedeli. Se qualcuno sente al cellulare e traduce poi rientro in carcere per altri dieci anni. Cento volte ti ho detto che questa è la mia causa». L'inchiesta, adesso, ha imboccato una strada per precisa: individuare, prima che possa essere tardi, la rete di contatti e fiancheggiatori del presunto terrorista, arrestato, per ora, solo per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.

Come? Spulciando nell'agenda rossa sequestrata durante le perquisizioni, nella quale era appuntato il nome di Bassam Ayachi, ex imam del Belgio, riferimento per la comunità islamica di Molenbeek, paese di 20mila persone ormai tristemente noto per aver dato i natali ad alcuni dei terroristi dell'attentato dello scorso 13 novembre a Parigi.

I SOLDI
Ma c'è un'altra pista che gli investigatori stanno seguendo, ed è quella dei soldi. Nonostante non avesse un lavoro, la sua disponibilità economica era praticamente senza limiti. Maneggiava banconote da 500 euro e carte di credito non intestate a lui. Da dove e da chi arrivavano questi soldi? «Da alcune conversazioni telefoniche intercettate - scrive la Dda - si evince come, dal giorno in cui è stato rimesso in libertà, Majid Muhamad avrebbe avuto la disponibilità di importanti somme di denaro sul cui utilizzo egli non è in grado di fornire spiegazioni, neppure alla moglie che dall'Iraq gliene chiede contezza».

L'inchiesta è seguita anche dalla Procura antimafia nazionale, dal pm Elisabetta Pugliese che coordina gli uffici inquirenti di Bari e Trento.

Dalle carte investigative emerge un altro dettaglio: tra le amicizie di Majid c'è anche quella con l'ex imam di Milano, Abu Omar, condannato lo scorso marzo a 6 anni dalla Corte di appello di Milano per terrorismo internazionale e ritenuto il capo ideologico della cellula terroristica di Parma, Ansar Al Islam.