La testimonianza dell'avvocato: «L'ultimo sms alla mia famiglia, temevo fosse finita»

La testimonianza dell'avvocato: «L'ultimo sms alla mia famiglia, temevo fosse finita»
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Lunedì 22 Marzo 2021, 09:22 - Ultimo aggiornamento: 09:24

La sua è una testimonianza drammatica, come quella che le cronache di questi mesi ci hanno ormai abituato a raccontare e leggere. L'avvocato Antonio Pinto, presidente di Confconsumatori Puglia, ha contratto il coronavirus, le sue condizioni di salute sono peggiorate ora dopo ora, tanto da indurlo a mandare un messaggio alla sua famiglia per rivolgere loro l'ultimo saluto. Poi, invece, il miglioramento, il trasferimento in un altro reparto, per iniziare quello che lui definisce «il secondo tempo di vita che mi è stato donato».
È lo stesso Pinto a raccontare la sua storia, che inizia il 2 marzo con i primi sintomi di febbre. «Il 3 inizio terapia a casa. Il 9 mi aggravo ed un mio amico medico Francesco (iniziamo con i salvatori) mi viene a prendere di peso a casa di notte e superando mia ritrosia, mi fa ricoverare al Policlinico di Bari. Il 12 ho un tracollo delle condizioni respiratorie e riesco a scrivere alla mia famiglia questo sms (che sinceramente allora pensavo ultimo): «Poiché sembro peggiorato, mi stanno per fare una rx ai polmoni. All'esito decideranno se portarmi in terapia intensiva. Non abbiate in ogni caso nessun timore. Io ho vissuto una vita stupenda e meravigliosa. La vita mi ha dato tutto. Ognuno di voi 5 è un dono immenso che basta da solo a riempire di senso una vita intera. Il segreto della vita lo conoscete ormai. Per vivere felici dovete imparare a voler bene davvero a tutti quelli che ci stanno accanto, dalla famiglia, amici, colleghi, panettieri, fruttivendoli, ecc. Non abbiate mai paura. Vi amo ovviamente». A questo punto, ormai senza più ossigeno, Pinto viene trasferito in Rianimazione. «Qui - racconta - è iniziata l'esperienza unica di vivere sette giorni di piena coscienza e lucidità, dove il corpo non esiste più, solo dolore, aghi, assenza di ossigeno interno, fili e macchinari attaccati dappertutto e l'anima da sola che deve reggere tutto, sapendo che puoi morire sempre. Ho visto i medici, gli infermieri e i sanitari della rianimazione: uomini e donne eccezionali che salvano ogni giorno vite e si buttano a capofitto su tutti. È diffamatorio dire che scelgono. Ancora adesso li ricordo nel gesto tipico di star chinati sui pazienti di qualsiasi età, anche per ore, a fare quello che serve in quel momento, su pazienti incoscienti che non lo sapranno mai che in quelle ore sono stati salvati perché quel medico o infermiere ha fatto la cosa giusta al momento giusto.

Li ho visti fare turni umanamente impossibili, ogni paziente viene salvato anche 10 volte al giorno. Tolgono liquidi, aspirano i grumi, mettono sondini, intubano, estubano, mettono caschi per ossigeno, regolano e aggiustano le macchine e ci monitorano ogni momento, ma proprio ogni momento. Sono a pezzi. Non riesco a capire come possano resistere». Ed è sempre Pinto a descrivere l'atteggiamento amorevole di chi lo ha assistito: «Mi hanno sempre spiegato tutto. Mi tagliavano a pezzettini il cibo per farmi deglutire senza strozzarmi. Mi coprivano, mi accarezzavano e basta quando sapevano che stavo proprio stremato. Mi facevano vedere la foto dei miei e dicevano dai che ce la fai a tornare da loro. Mi hanno lavato ogni giorno. A me hanno salvato anche con la tecnica della pronazione, la mattina mi rigiravano qualche ora per darmi un po' di tregua, perché ero al limite della sopportazione umana. Ogni giorno lì dentro muore qualcuno, ma vi dico che muore con dignità da uomo e donna, solo grazie a loro. Uomini e donne che fanno onore al genere umano. Si muovono continuamente in un silenzio spettrale dove senti solo il rumore dei loro passi instancabili e i bip dei macchinari. Per loro è un disastro anche solo andare in bagno, perché sono bardati al 100 per cento e lì dentro tutto deve assere asettico.


Ora Pinto inizia a stare un po' meglio: «Sono giusto un po' a pezzi, solo fisicamente, non riesco a parlare per più di 5 minuti, e rimarrò ricoverato in un reparto normale. Il peggio è però ampiamente alle spalle. Gesù e i sanitari tutti della Rianimazione mi hanno regalato un secondo tempo della mia vita. Io posso solo cercare di usarlo bene e meglio del primo».
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