Insegnante ipovedente esclusa dalla scuola. «No alla supplenza», e la prof denuncia tutto sui social

Insegnante ipovedente esclusa dalla scuola. «No alla supplenza», e la prof denuncia tutto sui social
di Elga MONTANI
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Mercoledì 14 Dicembre 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 03:52

«L’inclusione nel mondo della scuola non dovrebbe essere fatta solo a parole, ma dovrebbe essere realizzata davvero. E, soprattutto, non dovrebbe riguardare solo i ragazzi, ma anche noi docenti». Parole amare. Sono quelle pronunciate da Antonella Fraccalvieri, docente di musica, laureata in canto lirico, ipovedente. Una condizione la sua che non le impedisce di svolgere il suo lavoro ma che la obbliga ad avere, come la legge prevede, un’assistente in classe, che come lei stessa dichiara è «i suoi occhi». Una presenza che la legge prevede, che non pregiudica in alcun modo il suo lavoro, ma di fronte alla quale ci si scontra con la burocrazia e a volte, se vogliamo, con l’arretratezza dell’istituzione scolastica.

La denuncia via social

«Oggi (ieri, ndr) è Santa Lucia, protettrice della vista – ha scritto via social Antonella -. Vorrei che la gente non vedente venisse ricordata tutti i giorni, non solo in occasione della giornata nazionale del cieco e, soprattutto, vorrei che ci fosse più sensibilità nei confronti di non vedenti e ipovedenti nel mondo del lavoro». «Ieri (lunedì, ndr) ho ricevuto due e-mail di convocazione da due scuole di Bari.

Stamattina (ieri, ndr) una segreteria delle due scuole mi ha offesa, dicendomi che per due giorni di supplenza non potevo accedere con la mia assistente a scuola e non avrei dovuto presentarmi alla convocazione. Mi chiedo, si insegna l’integrazione ai ragazzi, perché non metterla in pratica per gli insegnanti? Non capisco perché io come ipovedente, avente bisogno di un assistente, devo essere un problema per tutti. Perché la gente, nella società in genere, deve farmi sentire un peso? Mi sento indignata».

Il lungo sfogo della docente discriminata

L'insegnante, nella sua denuncia, non se la prende con una singola scuola, dato che quanto accaduto in questi giorni non è che la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Lo scorso anno, nella sua Santeramo, dove ha svolto una supplenza annuale, d’altronde, si è trovata a doversi scontrare con una dirigente scolastica “incapace” di supportarla, e anzi pronta a fare di tutto per metterle i bastoni tra le ruote. «Alla convocazione in quella scuola – spiega Antonella – sono arrivata con qualche minuto di ritardo, dovuto alle pratiche svolte nel primo istituto. Ma se non ho avuto l’incarico non è certo per i dieci minuti di ritardo, quanto per il “problema” legato alla presenza della mia assistente. La persona con cui mi sono interfacciata, che non so nemmeno chi fosse di preciso, ha ritenuto tale presenza un problema, non sapendo come gestire la cosa. Ma se ho una laurea, e i miei titoli mi permettono di insegnare, perché devo essere discriminata? Perché sono ipovedente? Giovedì, al termine di questa supplenza, ci sarà una nuova convocazione, e in quell’occasione io sarò con ogni probabilità la prima della lista. Cosa succederà?». Antonella è amareggiata e, come scritto via social, trova assurdo doversi sentire un peso, solo perché vuol fare valere i suoi diritti. «Il lavoro è un diritto-dovere che la carta costituzionale tutela fra i suoi principi fondamentali – dichiara Antonio Garofalo, presidente dell’associazione LeZZanZare -. Inoltre, la Costituzione della Repubblica Italiana dice che lo Stato deve rimuovere ogni ostacolo per il pieno compimento di ognuno. Ancora una volta, la diversità non viene considerata come occasione di crescita, ma si evidenzia l’inadeguatezza del mondo del lavoro a creare i presupposti, affinché tutti possano concretamente mettere a disposizione la propria prestazione lavorativa». «I disabili – aggiunge Garofalo - sono sovente sottoposti a vessazioni sul posto di lavoro che, nella maggior parte dei casi, rimangono coperte dall’omertà e dagli abusi di potere. Benché noi conduciamo le nostre battaglie in maniera goliardica, ora siamo qui ad indignarci ma, allo stesso tempo, ripetiamo il nostro claim: “diverso da chi, normale perché».

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