L'intervista/«Io, infettivologo in pensione da soli cinque mesi ma ora torno in corsia a combattere»

L'intervista/«Io, infettivologo in pensione da soli cinque mesi ma ora torno in corsia a combattere»
di Vincenzo DAMIANI
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Venerdì 13 Novembre 2020, 10:02 - Ultimo aggiornamento: 10:25

Era andato in pensione a fine giugno, quando la prima ondata di contagi di coronavirus aveva esaurito la sua forza e nel suo reparto di Malattie infettive del Policlinico di Bari i posti letto si erano svuotati di pazienti Covid. Meno di cinque mesi dopo, non è riuscito a restarsene a casa ad osservare i suoi colleghi combattere in corsia, così ha risposto all'appello della Regione Puglia e ha presentato la domanda per rientrare in servizio per fronteggiare l'emergenza sanitaria in corso. Il professore Gioacchino Angarano, infettivologo ed ex primario del reparto di Malattie infettive, ha firmato ieri il suo contratto di collaborazione con l'Asl Bari e, vista la sua esperienza lunga 44 anni, il direttore generale dell'azienda sanitaria, Antonio Sanguedolce, gli ha affidato il compito di guidare un ospedale intero, il San Paolo che verrà riconvertito a breve in Covid Hospital. Oltre ad Angarano altri 14 medici rientreranno in corsia.
Professore, perché ha deciso di essere nuovamente in prima linea dopo appena 5 mesi?
«La risposta è semplice: perché serve. Tutti quanti stiamo assistendo a quanto accade in Puglia, nel resto d'Italia e in quasi tutto il mondo. Non si può restare a guardare, chi può deve dare una mano. Poi al San Paolo serve ancora di più perché dobbiamo costruire un ospedale Covid dal nulla».
A marzo, i primi pazienti Covid pugliesi li ha seguiti lei. Ci sono differenze rispetto alla prima fase della pandemia?
«Si, che questa seconda ondata è molto ma molto peggio. In primavera, l'epidemia è stata quasi circoscritta alla Lombardia, con focolai importanti ma meno estesi in Veneto ed Emilia Romagna. Il Sud, invece, è stato risparmiato grazie al lockdown. Oggi la situazione è ben diversa, la pandemia riguarda tutto il Paese e ne avremo per un bel po' ancora».
Quando durerà secondo lei?
«Prima della metà del 2021 non credo che ne saremo fuori e con l'arrivo dell'inverno credo andrà peggio».
Perché?
«Gli ultra violetti indeboliscono il virus, in inverno quindi sarà più aggressivo e, soprattutto, avremo pazienti con cariche virali molto alte. Quindi, ammalati più gravi e capaci di infettare un maggior numero di persone».
Tra dicembre e gennaio la Puglia rischia anche di essere travolta dall'epidemia influenzale.
«Non credo. A mio avviso l'epidemia influenzale quest'anno sarà meno importante per due motivi: le chiusure disposte limiteranno molto la circolazione dei virus influenzali nei mesi clou, penso ai teatri cinema, luoghi chiusi in cui si diffonde facilmente. Anche i contatti sociali saranno inferiori. E poi c'è un altro dato che mi fa ben sperare: la popolazione a rischio sarà vaccinata, già oggi abbiamo una percentuale molto più alta rispetto agli anni scorsi».
Qual è la situazione degli ospedali?
«Mi sembra abbastanza critica e la Puglia non è quella messa a peggio. In Campania mi sembra che siano al collasso».
Come costruirà il nuovo ospedale Covid?
«Non lo so. Io nel San Paolo avrò messo piede 3-4 volte in tutta la mia vita professionale. Non so nemmeno come è fatto strutturalmente, ci sarà molto lavoro da fare. Però, una cosa voglio cercare di farla subito, anche se ancora non so come: bisogna evitare di creare panico tra chi è contagiato per evitare che la paura li porti a correre in ospedale. Sarebbe una tragedia. Ora vediamo come fare, qualcosa mi inventerò, spero davvero di riuscirci. Entrare con il colera di cui mi sono occupato negli anni Settanta e uscire con il Covid è una grande responsabilità. Contribuire a mettere in piedi una nuova realtà ospedaliera è una sfida professionale di grande stimolo. Il mio intento è anche quello di fare da supporto scientifico e organizzativo alla direzione strategica della Ask per avviare progetti mirati alla assistenza territoriale».
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