L'intervista/Caratozzolo (Uniba): «Ostacolare la cultura russa? Il sapere è la vera difesa»

L'intervista/Caratozzolo (Uniba): «Ostacolare la cultura russa? Il sapere è la vera difesa»
di Enrico FILOTICO
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Giovedì 3 Marzo 2022, 08:16 - Ultimo aggiornamento: 20:12

Ha fatto discutere la decisione della rettrice dell'Università Bicocca di Milano di sospendere le lezioni del professor Paolo Nori su Fëdor Dostoevskij perché russo. Una scelta parsa punitiva nei confronti di un pezzo di cultura che è impossibile da cancellare. Considerazione fatta anche negli uffici dell'ateneo meneghino, pronto dopo pochi minuti a tornare sui suoi passi e a ripristinare il corso. «Uno scivolone», anche per il professor Marco Caratozzolo, Associato del Dipartimento di Ricerca e Innovazione Umanistica dell'Università degli studi di Bari Aldo Moro.
Professore, che idea si è fatto della decisione che era stata presa in merito alla sospensione del corso che avrebbe dovuto tenere il professor Nori?
«È stato bene ha fatto bene la Ministra a chiarire. Non perché c'è una guerra in atto tra Russia e Ucraina con una invasione da parte dei russi, dobbiamo cancellare tutto il resto. A questo punto dovremmo smettere di studiare lo spagnolo perché c'è stata l'Inquisizione. Dostoevskij, poi, lui che si è battuto e sulla propria pelle ha sentito il dolore per aver parlato di libertà. Lui fu condannato a morte, pena poi mutata in lavori forzati, per aver partecipato a delle riunioni segrete in cui si parlava di libertà e di socialismo occidentale».
Possiamo relegare il tutto ad una gaffe, insomma?
«Sì, penso proprio che si tratti di uno scivolone fine a se stesso. Sarei molto contento se Paolo Nori, che è bravissimo, facesse il suo corso agli studenti, perché prima di tutto noi dobbiamo conoscere queste culture e sicuramente la letteratura è il metodo migliore per conoscerle. Anche quella che appartiene a tanti anni fa».
Che partita gioca la cultura oggi?
«Dal punto di vista pratico quello che sta accadendo in Russia è una situazione talmente imbrigliata e legata agli interessi economici che è difficile pensare che la letteratura da sola possa insegnarci come sconfiggere questi bombardamenti. Però la letteratura è l'arte di creare dei mondi in cui lo scrittore si mette nei panni degli altri. Questo vuol dire che siamo aperti a un dialogo. Intendiamo quindi vedere e valutare le esigenze degli altri affinché si possano incontrare con le nostre».
Arriva poi il momento in cui la letteratura lascia spazio alla politica.
«Questo è il momento in cui è necessario che i grandi del mondo si siedano attorno ad un tavolo e ci dicano quello che vogliono. Però devono farlo i grandi. Perché l'incontro che c'è stato tra Russia e Ucraina presumo fosse più uno specchietto per le allodole. Lo aveva detto il direttore di Limes, Lucio Caracciolo, la delegazione russa non era in collegamento con Mosca. Quindi era solo un primo accordo molto preliminare. Serve che al tavolo si siedano anche i nostri europei, dove possano parlare per davvero. Solo così se ne esce».
Si teme lo scontro tra i popoli, è così?
«Tutti i bombardamenti hanno sempre un riscontro, come accade in tutte le guerre. I popoli soffrono le guerre e quando subiscono dei bombardamenti la loro capacità di covare odio nei confronti dell'invasore aumenta a dismisura. Il dialogo è un concetto apparentemente banale, però è l'unica via per davvero. Bisognerebbe avere dei mediatori che davvero si mettano nei panni di entrambi i contendenti».
Esiste il rischio di rifiuto culturale delle parti verso gli schieramenti avversi?
«Io penso che sulla lunga distanza questo rischio non esista. Il fatto della Bicocca è sì un fatto di cronaca però allo stesso tempo nasconde un segnale importante. Non si tratta di un fatto isolato. Ora a Bari ci sono delle persone che ritengono sia opportuno togliere la targa affissa dietro la statua di San Nicola solo perché l'ha regalata Putin. È un gesto stupido. È chiaro che sono delle cose avvenute in un altro contesto, quello che sta accadendo non può avere efficacia retroattiva. È chiaro che la cosa più importante è la diplomazia».
Quindi è da escludere oggi una forma di rigetto verso la cultura russa?
«È chiaro che nell'immediato ci possa essere un po' di rifiuto e diffidenza nei confronti dello studio della lingua russa, della cultura russa o delle innovazioni che vengono dal mondo Russia. Mi spiace, ma spero che non sia un atteggiamento di lunga durata. Così come noi valutiamo le persone per come si sono comportate negli ultimi dieci anni e non per quello che hanno fatto il giorno prima, così valuteremo la cultura russa per quello che ha prodotto negli ultimi secoli e non per questo triste bombardamento e per questa incursione militare».
Che lettura dà al momento attuale?
«In questo momento è necessario che la gente si renda conto che non ci sono buoni e cattivi come nei film. È una situazione complicata. Ma credo che questo ostracismo che si respira sparirà, fosse solo perché mi auguro che gli scontri finiscano il prima possibile, e in una situazione di pace le cose potranno cambiare».
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