Figlio di due mamme, sì dei giudici: «La genetica non definisce la famiglia»

Figlio di due mamme, sì dei giudici: «La genetica non definisce la famiglia»
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Lunedì 3 Febbraio 2020, 19:32 - Ultimo aggiornamento: 19:41
Ricorso respinto. E bocciando il reclamo presentato nel 2019 dal ministero dell'Interno, la prima sezione civile della Corte di Appello di Bari ha confermato la validità della trascrizione, da parte del Comune di Bari, dell'atto di nascita di un bambino - che oggi ha 3 anni e mezzo - figlio biologico di una donna inglese unita in matrimonio civile con una donna barese.

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«La trascrizione dell’atto di nascita di un minore che non ha alcun legame di sangue con un cittadino italiano è contraria ai principi primari costituzionalmente garantiti quali sono quelli relativi al diritto alla cittadinanza italiana» scriveva il Viminale nel reclamo, ma i giudici non sono stati dello stesso avviso: hanno ritenuto, infatti, che siano prevalenti «il supremo interesse del minore» e «la tutela dei suoi diritti fondamentali, tra i quali spicca il diritto al riconoscimento della genitorialità». Diritto, questo ultimo, che rientra a pieno titolo fra quelli tutelati dalla Carta costituzionale. «L'elemento della diversità di sesso tra genitori, nel quadro complessivo del nostro ordinamento, non può giustificare una condizione deteriore per i figli» scrivono ancora i giudici della Corte di Appello di Bari. 
«Il prevalente interesse del minore», spiegano i giudici, "verrebbe leso e strumentalizzato qualora, attraverso il rifiuto dell’identità-conseguenza del riconoscimento in Italia come figlio delle due madri, il risultato sarebbe la stigmatizzazione della condotta delle due madri, per aver le stesse cercato fuori dall’Italia la realizzazione del diritto a divenire genitori, anche se non biologici». Richiamando una sentenza della Corte Costituzionale, i giudici baresi ricordano ancora che «il dato della provenienza genetica non costituisce un requisito imprescindibile della famiglia».
Ancora. «Il progetto genitoriale di una coppia omosessuale» unita civilmente che ricorra alla fecondazione eterologa, è come quello «di una coppia che, per sterilità o infertilità assoluta ed irreversibile, non sia in grado di procreare autonomamente. Non pare più possibile affermare - continua la sentenza - che il termine coppia sia di per sé giuridicamente riferibile alle sole coppie di sesso diverso» e «sarebbe piuttosto da assumersi come violazione dell’art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ogni disparità di trattamento fra coppie eterosessuali e omosessuali, a fortiori dopo l’entrata in vigore della Legge Cirinnà».

Il caso risale al 2017, quando l'Ambasciata d’Italia a Malta trasmette all’Ufficiale di Stato civile del Comune di Bari l’atto di nascita di un bambino nato nel Regno Unito a ottobre 2016 da madre inglese, unita civilmente a una donna di Bari. L’atto viene trascritto a ottobre 2017, ma a marzo 2018 il Viminale evidenzia la «insussistenza dei presupposti per riconoscere un collegamento con l’ordinamento italiano al figlio di cittadina straniera unita civilmente con cittadina italiana». Interviene la Procura di Bari che chiede inizialmente al Tribunale la cancellazione della trascrizione dell’atto e poi vi rinuncia, dopo aver preso atto dell’avvenuta unione civile tra le due donne. Il ministero si oppone alla trascrizione ma perde la sua partita. 
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