Da Banca 121 (e Sharon Stone) al caso Popolare di Bari: la lunga parabola di De Bustis

Da Banca 121 (e Sharon Stone) al caso Popolare di Bari: la lunga parabola di De Bustis
di Francesco G. GIOFFREDI
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Domenica 15 Dicembre 2019, 07:17 - Ultimo aggiornamento: 18 Dicembre, 10:14
Le etichette abbondano, le sfumature anche. Succede sempre così quando c'è da catalogare banchieri e top manager del calibro e del curriculum di Vincenzo De Bustis, figura proteiforme e trasversale della galassia creditizia italiana. Ancor più perché l'amministratore delegato di Popolare di Bari appartiene alla stirpe vecchio stampo degli alti dirigenti parchi di parole e avari di pubbliche apparizioni. Innovatore secondo taluni «rivoluzionario e spregiudicato», uomo-macchina e di gestione, profondo conoscitore di ogni piega del mondo bancario, il 69enne ingegnere romano ha attraversato come un fuso gli ultimi decenni della parabola creditizia italiana. Per la classificazione politica, però, prego ripassare: per lunghi tratti s'è portato addosso la dicitura di dalemiano, retaggio degli anni 90 e primi 2000, quando si concretizzò l'acquisizione da parte di Mps della salentina Banca 121 per 2.500 miliardi di lire. Operazione che finì sotto i riflettori non solo per il volume (ingente) dell'affare, ma anche perché di lì a breve scoppiò il bubbone di due prodotti finanziari (For You e My Way) ritenuti poco trasparenti al punto da prosciugare i risparmi di centinaia di famiglie. Inevitabile lo strascico giudiziario, dal quale De Bustis è uscito del tutto indenne fino alla sentenza d'appello. Il banchiere romano è attualmente indagato invece nell'inchiesta sul tentativo di rafforzamento del capitale di PopBari e in cui è coinvolta una società maltese (la Muse Ventures Ltd, che avrebbe dovuto sottoscrivere una obbligazione da 30 milioni).

Ma la Puglia, in generale, rappresenta una specie di specchio e lente per leggere e interpretare la biografia di De Bustis. Un eterno ritorno: l'esperienza di Banca 121, poi - dopo 12 anni tra Mps, Deutsche Bank e un fondo londinese di private equity - la prima volta (dal 2011 al 2015) a Popolare di Bari e infine il bis in grande stile di un anno fa. In terra di Lecce atterrò nel 1992, dopo Banca di Roma, Cofiri e Bnl: fu cooptato dall'ambiziosa Banca del Salento, che puntava al salto in alto e alla crescita esponenziale. «Aveva 5mila miliardi di raccolta - ricorderà anni dopo - e quando la lasciai ne faceva 16mila». Fu scelto dalla famiglia Semeraro proprio per il tratto innovatore, tanto che Banca 121 (nuova insegna della banca salentina) diventò il primo istituto italiano a cimentarsi su ampia scala con l'home banking e i servizi web, oltre che con i prodotti finanziari a portata di padre di famiglia. Un pacchetto pubblicizzato senza lesinare lustrini ed effetti speciali: negli spot tv abbagliava tutti il sorriso maliardo addirittura di Sharon Stone («mi proposero lei e George Clooney: scelsi la prima»). Sul biglietto da visita, De Bustis aveva già ramificazioni e relazioni ovunque. Fu però negli anni dell'operazione Banca121-Mps che si instaurò il rapporto con Massimo D'Alema, che proprio nel Salento aveva all'epoca una solida e radicata rete politica ed elettorale. Monte dei Paschi mise sul piatto 300 milioni in più di San Paolo Imi: «Banca 121 - dirà De Bustis nel 2016 - fu pagata quattro volte il suo valore di libro, ma allora era quello il mercato. Ed era una banca innovativa». De Bustis non rinnegherà mai il rapporto di stima con D'Alema. Di sicuro quella acquisizione lo proiettò nientemeno che alla direzione generale di Mps. C'è chi sostiene che fu proprio l'operazione sull'asse Salento-Toscana a innescare la sequela di guai dell'istituto senese, complice l'affaire dei due prodotti previdenziali: versione sempre e seccamente rispedita al mittente dal banchiere romano.

Dopo Mps, Deutsche Bank (da amministratore delegato) e il fondo di private equity a Londra, nel 2011 il primo ritorno pugliese. Popolare di Bari è la banca più importante del Mezzogiorno, dal 1960 al vertice c'è sempre la famiglia Jacobini: De Bustis era stato reclutato da direttore generale per iniettare modernizzazione e magari investitori esteri. S'è trovato a maneggiare l'acquisizione di Tercas (finita sotto il microscopio Consob) e il frangente più delicato della storia di PopBari, tra crisi e transizione verso la Spa. Dopo una pausa di tre anni, è riaffiorato al timone della banca nel dicembre 2018. Stavolta alle prese con guerre interne all'istituto, con lo sfumato rafforzamento del capitale e con le conseguenze esiziali di una precedente (ma recente) gestione creditizia che lui stesso oggi bolla «al di fuori delle regole».

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