L'intervista, violenza sessuale? «È ormai una guerra contro le donne»

L'intervista, violenza sessuale? «È ormai una guerra contro le donne»
di Matteo CAIONE
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Mercoledì 10 Agosto 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 22:58

La violenza sulle donne resta un’emergenza sociale. «Sta mancando la chiave di tutto, cioè un mutamento culturale. Senza questa svolta non servirà qualsiasi inasprimento delle pene». A dirlo è Maria Pia Vigilante, avvocata e presidente dell’associazione e del centro antiviolenza “Giraffa onlus” di Bari, a margine di un episodio grave: i presunti abusi su due turiste per cui è stato arrestato un 21enne di Bari. 
 

Presidente, nonostante tutte le attività e le iniziative di sensibilizzazione le violenze sulle donne continuano ad accadere: cosa sta mancando per fermare e per prevenire veramente questo fenomeno?
«Sta continuando a mancare quello che è la chiave di tutto, ovvero un mutamento culturale. Finché la donna sarà considerata un bottino, una preda di proprietà difficilmente ci sarà un cambiamento. Il patriarcato, cioè l’idea di considerare il corpo della donna come un oggetto, produce azioni e violenze maschili molto gravi. Violenze che sono sempre più in aumento. C’è una recrudescenza ovunque, anche in Puglia. C’è il caso di queste ore di Bari e nelle settimane scorse quello accaduto a Gallipoli. Ma non c’è giorno che ai centri antiviolenza le donne non denuncino abusi sessuali o l’essere preda di un bottino di guerra. Perché è ormai una guerra contro le donne che si spinge fino a giungere alla violenza massima che abbiamo imparato a chiamare femminicidio. Purtroppo c’è un atteggiamento quasi di assuefazione, non vedo più la levata di scudi che c’era una volta. Ora la notizia viene relegata nella cronache, si sta abbassando la guardia, stiamo quasi pericolosamente imparando a conviverci». 
 

L’inasprimento delle pene e gli accorgimenti normativi non hanno portato ad una riduzione dei casi. Forse è la strada sbagliata?
«Noi dei centri antiviolenza abbiamo sempre detto che non è quello il punto.

L’inasprimento non avrebbe condotto a nulla e così è. Aumentare le pene vuol dire preoccuparsi solamente dell’elemento sanzionatorio e non della prevenzione e di chi deve farla. Purtroppo, la comunicazione e la sensibilizzazione viene lasciata alla mercé di tutti e spesso vengono lanciati messaggi contrastanti. Viene consentito, ad esempio, ad alcune associazioni di donne che svolgono opere sicuramente meritorie, ma che non hanno le competenze giuste, di andare a parlare ai ragazzi e alle ragazze nelle scuole. C’è la giusta preparazione anche tra avvocate ed avvocati? Il sacrosanto diritto alla difesa vuol dire violare anche nelle aule di tribunale il corpo e la vita privata di una donna vittima di violenza pur di giungere al miglior risultato processuale, il minimo della pena o l’assoluzione, per chi è imputato? Non ha senso poi parlare di inasprimento delle pene senza preoccuparsi di un organico carente: pochi pm e poche forze di polizia con competenze specifiche e mancanza di una formazione comune tra tutti i soggetti che partecipano alla rete territoriale antiviolenza. Ognuno pensa di poter fare formazione per conto proprio, i medici, le forze di polizia, i magistrati. Ognuno deve fare la propria parte col proprio ruolo ma dobbiamo capire che è fondamentale parlare la stessa lingua».

Qual è la situazione nei centri antiviolenza?
«Le violenze domestiche c’erano e ci sono, anzi in questo mese di agosto la situazione è terribile. Stiamo notando numeri da paura: tantissime donne si rivolgono ai centri perché durante le ferie estive le occasioni di violenza esplodono. Riceviamo denunce di donne che sono costrette anche ad andare in vacanza». 

È una sfida che si vince sul piano culturale ed educativo. Riguardo proprio al caso di violenza nei confronti delle giovanissime turiste francesi, è accusato un ragazzo appena ventenne. Il cambiamento non sta attecchendo nemmeno nelle nuove generazioni?
«Andiamo nelle scuole e devo dire che i ragazzi sono formati e attenti, addirittura protettivi verso le proprie compagne e amiche. Non siamo all’anno zero. Secondo me tra i giovani c’è una diversa sensibilità. È chiaro, però, che per smantellare una cultura patriarcale secolare serve tempo. Ed è chiaro che è una sfida esclusivamente culturale. C’è bisogno di una legge per capire che “no” vuol dire “no”. Nel Parlamento appena sciolto giaceva un disegno di legge di riforma sulla violenza sessuale per smetterla finalmente di giocare sul consenso e quindi sull’onere della prova. Perché la donna deve subire l’ulteriore violenza di dover provare che gli shorts non erano un abbigliamento stimolante per una violenza? Se vado in giro con un orologio d’oro è stimolante o può giustificare il furto? Se è necessaria, come è necessaria, una legge del genere vuol dire che il mutamento culturale è ancora di là da venire». 

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