L'ultima moda: selfie e video su Tik Tok dopo i colpi. Palmisano: maglietta ed esibizionismo

L'ultima moda: selfie e video su Tik Tok dopo i colpi. Palmisano: maglietta ed esibizionismo
di Beppe STALLONE
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Giovedì 10 Febbraio 2022, 10:10 - Ultimo aggiornamento: 13:15

Un selfie con cappuccio in testa e soldi in mano, un selfie con il fucile subito dopo la rapina, un video su Tik Tok dove è evidente la presenza di estranei, nonostante il soggetto (Giovanni Cassano, fratellastro di Antonio) fosse agli arresti domiciliari. E d'altronde, se un criminale non si mostra ai suoi followers, che criminale è? Questo almeno è quello che frulla in quelle teste calde. Comunque il fenomeno del selfie post rapina venuto alla ribalta con i recenti arresti, pone almeno due interrogativi.

Il bisogno di mostrarsi 

Che tipo di criminalità è questa dove alcuni individui, rischiando di essere arrestati, come è accaduto, hanno bisogno di mostrare al mondo le proprie gesta? Come la criminalità utilizza i social e la rete più in generale?
Leonardo Palmisano, sociologo e scrittore barese, studioso di fenomeni criminali e mafie non ha dubbi.

«C'è una voglia di apparire che ti fa comprendere quanto ci sia poco di essere. Il crimine, quello che fattura tanto, è un crimine discreto. Savino Parisi tanto per intenderci. Un crimine che vive apparentemente nella modestia, ma reinveste il denaro in attività economiche importanti. Un sistema aiutato da intelligenze che adopera consulenti, un crimine che se la fa con la borghesia. Quindi quando il crimine si comporta in quel modo, con arroganza, è un crimine che si limita al colpo che gli è riuscito, questo non vuol dire che sia meno pericoloso. È una pericolosità più percepita ma non per questo altrettanto forte quanto quella di chi invece investe denaro sporco nell'economia legale. Se devo nascondere decine di milioni di euro provento di narcotraffico o spaccio di stupefacenti lo faccio in modo molto discreto».
Il crimine vero è più silenzioso più intelligente.

«Sì perché sa distinguere i piani.

Il piano dell'arroganza è normalmente il piano dei perdenti. Si pensi alla camorra napoletana prosegue Palmisano - sul piano dell'egemonia criminale è perdente rispetto alla ndrangheta. A Bari il sistema degli Strisciuglio non è egemone perché è un sistema rissoso è plateale la rissosità, mentre quello dei Parisi, dei Palermiti è un sistema che ha dalla sua una intelligenza evoluta in termini criminali, è un capitale di minaccia che quando viene esercitato non ha bisogno di arrivare a uccidere. Spara poco ma spara bene».

Insomma questi soggetti che si mostrano con il trofeo in mano sono piccola cosa.

«I social amplificano la proiezione di sé. Uno che sui social mostra di essere un grande capomafia è difficile che lo sia davvero. Utilizzando il filosofo Delueze i grandi capimafia sono de-territorializzati. Lavorano su territori diversi. Quando Parisi investe a Malta lavora sulla liquidità, sulla finanza. È quello fanno le mafie vere si finanziarizzano e questo ha bisogno di grande discrezione. Non puoi comportarti come un cialtrone. La mafia vera è quella che somiglia alla massoneria. Quella dei selfie è una mafietta».
L'altra questione che citavamo all'inizio è capire come le mafie utilizzano i social e la rete.

«I social sono utili per la promozione di sé. E questi promuovono sé stessi non il sistema (la mafia). Però sottolinea Palmisano - sono anche utili per promuovere il business criminale. Perché ci sono social che fondano tutto sull'immagine mentre ci sono piattaforme di messaggistica molto utili come whatsapp e telegram, piattaforme che hanno sostituito i pizzini. Lì sta alla capacità dei sistemi di adeguarsi alla contemporaneità. Altrimenti non entrerebbero i telefonini in carcere, c'è la necessità di comunicare attraverso i sistemi contemporanei e le mafie sono un pezzo della contemporaneità. C'è chi ci sta in modo esagerato facendo le cassanate e chi ci sa stare».

Ci potrebbe essere però un effetto emulazione da parte dei ragazzi.

«Più che un effetto di emulazione c'è la desiderabilità del mestiere- sostiene il sociologo Palmisano della serie voglio mettermi a fare rapine e guadagnare». Altri adolescenti anche a causa della pandemia che ha amplificato stati di tensione e stress hanno manifestato comportamenti violenti «alimentando risse e aggressioni con le modalità tipiche del branco, utilizzando il linguaggio della violenza e la negazione del valore dell'altro come soggetto portatore di diritti. La precarietà esistenziale afferma Vincenzo Gesualdo, presidente dell'Ordine degli Psicologi di Puglia - e la mancanza di un orizzonte che nessuno ha indicato, né scuola, né scienza, né politica, né famiglia, hanno disorientato i nostri ragazzi rendendoli ancor più fragili e avvicinandoli, in alcuni casi, alla delinquenza, sfoggiata come un trofeo».
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