L'intervista/ Decaro: «La crisi dei "simboli"? Solo un caso, Bari cresce: nuove imprese investiranno e i cantieri vanno avanti»

L'intervista/ Decaro: «La crisi dei "simboli"? Solo un caso, Bari cresce: nuove imprese investiranno e i cantieri vanno avanti»
di Francesco G. GIOFFREDI
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Giovedì 12 Agosto 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 13 Agosto, 08:12

Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente nazionale Anci: il capoluogo perde alcuni “simboli”, seppur temporaneamente come nel caso della Fiera del Levante. È un segnale d’allarme?
«Non abbiamo perso la Fiera per sempre. Come per tutte le campionarie è una fase difficile, è successo anche altrove. In generale, non darei particolare valenza, è solo il concatenarsi di situazioni tra loro diverse. La Popolare di Bari? Come tutte le banche di quel tipo, è andata in crisi affrontando la trasformazione in spa, poi c’è stata la vicenda giudiziaria, ma per fortuna è stata salvata da Mediocredito: ora spero possa diventare un aggregatore di piccole banche, popolari e cooperative, e un riferimento per tutto il Sud. La banca territoriale è fondamentale per tenere i rapporti col tessuto imprenditoriale».
La Fiera del Levante segnava il passo da tempo: lo dicono i numeri e la sensazione di una campionaria incapace di intercettare la modernità e i nuovi mercati.
«Ma la Fiera per fortuna era già cambiata. Il punto è che le tante aziende che dovevano esporre non avevano i prodotti, materialmente. È una campionaria che però aveva e ha anche un grande valore simbolico: l’arrivo del presidente del Consiglio, l’avvio simbolico della ripresa, i messaggi in anticipo rispetto alla Legge di bilancio».
L’anno di stop aiuterà a ripensare qualcosa?
«Ma non spetta alla politica, è stata affidata a una gestione esterna proprio perché vietata al pubblico, che ha il compito di sostenerla e di garantire gli immobili. Per fortuna la Fiera del Levante, tramite quella di Bologna, fa parte di un circuito di grande rilievo».
A proposito di immobili: non una grande idea aver mantenuto l’ospedale Covid in una porzione del polo fieristico?
«Ha sottratto una parte degli spazi, ma non ha influito. Ha un altro ingresso separato, e normalmente nelle città ci sono ospedali nei pressi di altre attività».
La città di Bari tende a voler dare all’esterno una certa idea di dinamicità e cambiamento. Ma qual è l’impronta, la direzione che avete immaginato?
«Rispetto a 5 anni fa, per esempio, è una città turistica: ad agosto, prima, chiudeva tutto; ora invece Bari è stracolma, il che vuol dire lavoro per attività turistiche, di servizi, commercianti, mostre. E sono tante, in questi giorni. Poi abbiamo riaperto tutti i contenitori culturali, alcuni dei quali abbandonati: il Piccinni, il Mercato del pesce tra poco, il museo civico, il museo archeologico, il Kursaal, il museo diocesano, il museo di San Nicola».
Non bastano cultura e turismo. La creazione di posti di lavoro diversificati e stabili è un’esigenza diffusa, a Bari come nel resto della Puglia.
«E infatti stiamo cercando di tenere e aumentare le aziende nell’area di sviluppo industriale. Proprio in questi giorni ho incontrato, con la Regione, una grande azienda che vuol investire su Bari».
Che azienda è?
«Non posso dirlo, ma è ormai una multinazionale. Non è l’unica, comunque. E l’impegno è a tutto tondo: abbiamo un punto, One stop shop, dove diamo l’opportunità di trovare lavoratori, finanziamenti, capannoni o terreni attraverso diversi strumenti. Stiamo creando un tessuto solido in tutta l’area di sviluppo industriale. E l’infrastrutturazione continua: smart grid, la camionale da 179 milioni per collegare porto, interporto e autostrada, il riciclo delle acque, la viabilità interna, la Zes, “Porta futuro” per far incontrare offerta e domanda di lavoro. Dobbiamo continuare a consolidare, lavorando con le tante aziende della meccatronica, dell’aerospazio, della farmaceutica, e ora anche dei servizi legati all’innovazione».
Bari è città soprattutto del commercio, però: il settore ha sofferto più di qualunque altro il colpo della pandemia. Da dove ripartire?
«Abbiamo cercato di aiutare il commercio, con piccole risorse a tutti per contribuire alla riapertura. La ripresa per fortuna c’è. Certo, capiremo solo dopo se è stato giusto spostare il periodo dei saldi estivi, perché c’è chi sostiene che in tanti abbiano comprato online o in regioni vicine».
Tra cantieri chiusi, aperti o di prossima apertura, Bari è in cammino. Il “disegno” complessivo qual è? Funzionale a cosa?
«Il disegno della città risale a 7 anni fa, quando mi sono candidato. Avevamo preso tanti impegni e li stiamo mantenendo. Avevamo immaginato due grandi assi di scorrimento, tutti e due sono stati realizzati: il ponte Adriatico e via Amendola. Abbiamo completato i lavori per le ferrovie, ora stiamo realizzando solo piccole fermate. Abbiamo recuperato tanti contenitori culturali, dando nuova funzione: penso alla Manifattura tabacchi, lì c’è Porta Futuro e sarà sede del Cnr. Ci sono anche le sfide del domani che potrò solo avviare, ma non completare. E il Pnrr ci servirà per dare un’ulteriore svolta alla città. Abbiamo avuto il finanziamento da 75 milioni per riqualificare la costa sud; 100 milioni per il nodo verde di Fuksas; 30 milioni per le aree periferiche. E speriamo che Regione e Sovrintendenza ci diano le ultime autorizzazioni per rifare il lungomare, abbiamo cinque progetti».
Forse il progetto più ambizioso, questo: da Santo Spirito a Torre a Mare. Ma i tempi per vedere i cantieri?
«Aspettiamo, appunto, le ultime autorizzazioni. Noi siamo pronti, con risorse e progetti. Entro fine anno almeno due cantieri partiranno».
La visione, la proiezione futura, però poi bisogna sempre tenere conto delle esigenze immediate: problema generale.
«Un buon amministratore deve saper tenere la testa tra le nuvole per guardare al futuro e alle strategie, guardando anche oltre il mandato; e i piedi per terra, per rispondere ai bisogni, Lo stiamo facendo, per esempio, su rifiuti e lavaggio strade».
C’è il commissario per la Cittadella della giustizia: e ora? Quali step e quali tempi?
«Chiamiamolo Parco della giustizia. Ora mi aspetto che partano i lavori. Il Comune non ha alcun ruolo, ma io ho trovato l’area e l’ho messa a disposizione del ministero, ho realizzato lo studio di fattibilità per ottenere le risorse, e nel 2017 il ministero ha erogato 90 milioni. Ma non è stato fatto nemmeno uno scavo. Ora mi auguro che si proceda speditamente, i poteri del commissario saranno anche ampliati, lo abbiamo chiesto come sindaci per tutte le opere. In questo caso, in fondo, parliamo solo di un palazzo in un’area chiusa: non dovremmo avere problemi».
Bari da una parte, il sud della Puglia dall’altra: la cesura spesso è prima di tutto infrastrutturale. Come va ricucita?
«La Puglia ha fatto passi avanti enormi, penso ai due importanti aeroporti e non solo. Dal punto di vista stradale ora occorrono due cose: la variante di Bari e un miglior collegamento tra il capoluogo e Lecce, quella strada dovrebbe diventare a sei corsie. Aggiungo anche la viabilità del Tarantino: zone meravigliose come Maruggio o Campomarino sono collegate malissimo con l’autostrada e con le statali più importanti. E poi c’è il tema ferroviario: con l’alta capacità potremo avere collegamenti veloci fino a Lecce, migliorando così non solo le lunghe percorrenze, ma anche il raccordo tra Bari e il Salento».
Il Pnrr è una grande opportunità per i sindaci. Restano alcuni nodi da sciogliere: l’affidamento delle risorse, le semplificazioni, il personale per progettare e spendere.
«Alcune semplificazioni sono arrivate.

Ora i temi sono l’assegnazione delle risorse, magari come accaduto col programma PinQua a scorrimento delle graduatorie; e le assunzioni. La prima operazione, il concorsone al Sud, non è andata bene. E intanto in questi anni abbiamo perso un dipendente su quattro: almeno per la fase del Recovery, vorremmo recuperarli».

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