Bari, la lotta a bullismo e baby gang non si ferma. L'appello dei genitori: presidi fissi nei parchi

Bari, la lotta a bullismo e baby gang non si ferma. L'appello dei genitori: presidi fissi nei parchi
di Elga MONTANI
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Venerdì 11 Marzo 2022, 05:00

Dopo l’incontro con il prefetto, Antonio Bellomo, il gruppo dei genitori “BulliStop – Vivere Bari senza paura” incontrerà, lunedì prossimo, anche il sindaco di Bari, Antonio Decaro, per discutere del problema baby gang in città, e portare anche al primo cittadino le loro richieste. La notizia dell’incontro è stata comunicata da Alba Nardone, portavoce del gruppo, durante un evento online a cui ha partecipato il presidente dell’ordine degli psicologi di Puglia, Vincenzo Gesualdo.

L'evento

L’evento è stato un momento per comprendere al meglio le dinamiche alla base di determinati comportamenti degli adolescenti, e comprendere anche come i giovani possono reagire a determinate aggressioni e andare avanti. In apertura, Alba Nardone ha ribadito la posizione del gruppo, e la volontà di chiedere al sindaco dei: «presidi fissi in tutti i parchi di Bari, ormai lasciati al degrado».

Nel ribadire che il gruppo (ormai arrivato ad oltre 300 membri) è composto di semplici genitori preoccupati da un fenomeno che sta ormai diventando una vera emergenza sociale, e che il loro obiettivo è principalmente «diffondere la cultura dell’attenzione verso il prossimo, risvegliare le coscienze e il senso civico», si è delineato il fenomeno a Bari.

Un fenomeno che ha visto negli ultimi mesi varie aggressioni in diverse zone della città, e le cui vittime sono principalmente i soggetti più deboli, ovvero ragazzini di 12-13 anni che vengono fuori da due anni di pandemia, prima dei quali uscivano solo accompagnati, mentre ora cercano autonomia. Il fenomeno, stando a quanto sottolinea Gesualdo, sembrerebbe essere molto legato a come è evoluta la società.

Individualismo e legami spezzati

«Negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, durante l’adolescenza i principi ispiratori erano solidarietà e comunione – sottolinea il presidente dell’ordine -. Dagli anni ’80-’90, invece, tali principi sono saltati ed ha iniziato ad essere prevalente l’individualismo. Saltando il livello di comunità si è passato da uno stress sul noi ad uno stress sull’io. Abbiamo costruito sistemi basati sull’individualismo e abbiamo spazzato i legami». Questa corsa all’individualismo è visibile anche nel modello di scuola che ha prevalso, con il sistema Invalsi che punta a mettere i giovani in qualche modo in competizione l’uno con l’altro. Questo comporta che «non c’è più una comunità partecipata – aggiunge Gesualdo – in questo modo quando chiunque (non solo un adolescente) subisce un sopruso non c’è più una comunità che interviene, ma un insieme di singoli che scappano o riproducono quanto accade attraverso lo schermo di uno smartphone».

La pandemia, inoltre, ha privato gli adolescenti della loro primaria palestra di socializzazione, ovvero la scuola. Nell’età adolescenziale, che è una fase della vita e dello sviluppo dell’individuo, è necessario: «Costruire un sistema di relazioni in cui il noi prevale sull’io, senza tale approccio qualsiasi tipo di intervento diventa inutile». Fondamentale, quindi lavorare a partire dalle scuole, e dall’educazione. Ai genitori, spaventati e incapaci molte volte di affrontare una aggressione subita dal proprio figlio, il presidente dell’ordine degli psicologi consiglia, in qualche modo, di permettere ai ragazzi di affrontare tali situazioni “da soli”.

«I ragazzi devono essere capaci di far fronte in prima persona, senza gli adulti alle spalle, alle situazioni di ogni giorno». Per quanto riguarda, invece, le soluzioni che possono essere messe in atto per “recuperare” chi si macchia di determinati crimini, come le aggressioni ai coetanei, aggiunge che bisognerebbe: «Dare possibilità a chi delinque di vivere esperienze con le proprie vittime. Dobbiamo tornare a creare dei gruppi sociali, ma non si devono creare solo gruppi omogenei. Bisogna contaminare gli opposti, in un clima non di contrasto, ma di comunione». Non basta, comunque, dedicarsi al recupero e alla rieducazione, necessario lavorare anche sulla prevenzione, fin dall’infanzia. In quanto, tutto nasce dal modello di relazione che apprendiamo fin da piccoli. «Dobbiamo costruire modelli in cui l’altro è importante», conclude Gesualdo.

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