Yara, quattro anni dalla scomparsa: gli errori e le scoperte di un giallo irrisolto

Yara, quattro anni dalla scomparsa: gli errori e le scoperte di un giallo irrisolto
di Claudia Guasco
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Mercoledì 26 Novembre 2014, 13:28 - Ultimo aggiornamento: 22:09

Milano - Alle sei e mezza di sera del 26 novembre 2010 Yara saluta le allenatrici, le compagne della squadra di ginnastica ritmica e infila l'uscita della palestra di Brembate.

Nessuno la vedrà più viva. Il suo cadavere verrà trovato a febbraio tra le stoppie di un gelido campo di Chignolo d'Isola: «Abbandonata incosciente e morta di freddo», dirà l'autopsia.

Dopo quattro anni di indagini e silenzi, di clamorosi errori come l'arresto del manovale Mohammed Fikri che lavorava nel cantiere di Mapello e una massiccia operazione di raccolta del dna con 18 mila campioni prelevati, oggi la Procura di Bergamo è certa che in cella ci sia il vero assassino.

Massimo Bossetti, muratore di Mapello, tre figli, una bella moglie e una vita abitudinaria tra casa e lavoro. Fino a quel venerdì di novembre quando, secondo gli investigatori, avrebbe caricato Yara sul suo furgone. La prova schiacciante: è suo il dna di Ignoto 1 trovato sui leggins e sugli indumenti intimi della piccola ginnasta.

Il sorriso di Yara. Nella palestra che, insieme alla scuola, rappresentava il cuore della vita di Yara, tutto è come allora. Keba Gambirasio, la sorella maggiore, insegna i primi esercizi di ritmica alle più piccole, tra le allenatrici il ricordo della ragazzina è vivido e commosso. «Pensiamo al suo sorriso, non al giorno in cui è scomparsa», raccontano. Era un tardo pomeriggio umido e buio, Yara indossò il giubbotto nero e salutò: «Vado a casa, altrimenti mamma si preoccupa». Ma nel tragitto che lungo via Rampinelli porta alla villetta di famiglia, sostengono gli investigatori, ha incontrato Bossetti. Il suo furgone è stato ripreso dalle telecamere proprio nelle vie attorno a casa Gambirasio, mentre lui ha messo a verbale che a quell'ora era già rientrato a Mapello. Il 14 giugno i risultati del dna sono arrivati sulla scrivania della pm Letizia Ruggeri, il 16 giugno Bossetti è stato arrestato. E da allora proclama la sua innocenza: «Non posso confessare ciò che non ho fatto», ripete. E, come riferisce il cappellano del carcere, don Fausto Resmini, legge il Vangelo e «prega per la sua famiglia, per i suoi figli, per chi non c’è più, perché possa tornare a casa, perché possano credere alla sua estraneità nell’omicidio».

Indole malvagia. Gli atti dell'inchiesta però descrivono un altro uomo, un Bossetti crudele, capace di uccidere una ragazzina di 13 anni e mezz'ora dopo sedersi a tavola con i suoi figli per cena senza tradire la minima emozione. La condotta di Bossetti, scrive il giudice delle indagini preliminari confermando il carcere, è «particolarmente riprovevole per la gratuità e superfluità dei patimenti cagionati alla vittima, con un'azione efferata, rivelatrice di un'indole malvagia e priva del più elementare senso di umana pietà». La data del ricorso in Cassazione avanzato dai legali contro la decisione del Tribunale della libertà di Brescia di negare la scarcerazione non è stata ancora fissata, la Procura ha tempo fino al 15 dicembre per chiedere il giudizio immediato. Nel frattempo saranno depositate le ultime relazioni dei periti sui telefonini e sui veicoli sequestrati all'indagato, dalle quali non si attendono particolari novità. Ma la pm Ruggeri, grazie al dna, ritiene di avere la prova regina: «E' la pistola fumante che incastra Bosetti», assicura.

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