Parigi, la solidarietà dello sport francese e del capitano degli azzurri del rugby, Sergio Parisse

Parigi, la solidarietà dello sport francese e del capitano degli azzurri del rugby, Sergio Parisse
di Paolo Ricci Bitti
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Domenica 11 Gennaio 2015, 16:33 - Ultimo aggiornamento: 13 Gennaio, 17:35
​Le maglie ”Nous sommes tous Charlie” su tutti i giocatori, un minuto di silenzio e poi, spontaneo, il canto dell’inno (vedi il video commovente) degli oltre ventimila spettatori che scuote lo stadio Jean-Bouin di Parigi, così come stava accadendo in tutti gli stadi di Francia, in tutti gli sport.



«Non sono francese, ma ad ascoltare la Marsigliese ho sentito i brividi» ha poi twittato dopo il match contro Castres il rugbysta Sergio Parisse, capitano dello Stade Francais (uno dei due club parigini in Top 14) e della nazionale italiana.









Lo sport francese, spesso preso ferocemente in giro da Charlie Hebdo, si è subito mobilitato dopo la strage e anche il leader azzurro, ormai da dieci anni a Parigi, ha espresso la sua solidarietà: Pazzesco... Senza parole per la strage di Parigi #CharlieHebdo #paris c'est #chezmoi #NousSommesCharlie



IL CAPITANO DELLA FRANCIA

E a Thierry Dusautoir, capitano del XV della Francia, il quotidiano sportivo l’Equipe ha assegnato il commento-guida della pagina in cui campioni quali Zidane ("Invio questo messaggio perché ci sono dei momenti in cui non si può restare silenziosi: di fronte all’orore, di fronte all’ingiustizia bisogna sentirsi insieme”, Perec, Gebresellasie, Ibanez, Azarenka, Pietrus, Onesta, Mayer, Bonnet, Riner, Karabatic, Rolland hanno manifestato la loro vicinanza alla redazione del settimanale e alle vittime degli attacchi terroristici a Parigi





Ecco infine la sintesi dell'intervento che Thierry Dusatoir, originario della Costa d'Avorio, laureato in Fisica e Chimica, capitano del Tolosa, ha scritto per il suo blog sull'Huffington Post che è stato scelto dall'Equipe per la pagina speciale delle reazioni dei campioni dello sport francese. Se ne potrebbe fare un manifesto, certamente l'argomento di una lezione a scuola in ogni parte del mondo:



"Non ero un lettore assiduo di Charlie Hebdo, non conoscevo i suoi giornalisti, ma nonostante ciò l’atto odioso che è stato commesso mi spinge a testimoniare, ad alzarmi e a combattere questo oscurantismo che ha fatto sì che qualcuno possa essere stato ucciso per le sue idee in una strada di Parigi. Io non sono che un giocatore di rugby, ma adesso voglio dire che quello che mi motiva fin da quando sono nato, fin da quando sono arrivato con le mie valigie in Francia dal mio paese natale, la Costa d’Avorio, è la fratellanza, il vivere insieme.



Meticcio, di padre bianco e francese e di madre nera ivoriana, durante i miei primi anni a scuola ho subito scoperto di essere più scuro degli altri, di non avere l’accento corretto, ma i miei compagni del Perigueux ne ridevano con me come ridevamo insieme di chi era maldestro, grande, grosso, timido. Eravamo tutti uguali.



Il gruppo di Charlie aveva il suo umorismo che non è per forza sempre il mio. Mi è anche capitato di essere choccato da certe vignette, ritenendo che si fossero spinte troppo lontano. Ma, almeno, mi facevano reagire, pensare, interrogare. E che cosa altro chiedere a dei giornalisti di penna o di matita se non di informarci e di farci interrogare? Quello che mi spaventa, dopo questa tragedia, è che anche questi terroristi mi hanno spinto, con le loro azioni, a interrogarmi, a pensare. Mi hanno fatto rivoltare, mi hanno fatto dire che il mio mondo non può essere quello che vogliono loro.



Nei match di rugby più duri, si può arrivare a “castigare”, come scrivono i giornalisti, un avversario perché è troppo forte. Ma alla fine della partita ci si stringe la mano, si va al banchetto insieme. Non vogliamo far credere che le rivalità si spengano come per magia. No, in certi casi esse restano. Ma ci si rispetta. Invece i terroristi non rispettano le persone e le idee delle persone. Loro aggrediscono, loro uccidono. E mai una pallottola ha portato, o porterà, un’idea. Essa non farà che seminare la morte.



Il minuto di silenzio che faremo in campo voluto dalla Federazione e della Lega dei club sarà la nostra testimonianza. Non sono la persona più legittimata in questi giorni a prendere la parola, ma come capitano della nazionale francese di rugby e come personaggio pubblico, voglio dire che continuerò a difendere le differenze e mi batterò perché si continui a vivere insieme.

Je suis Charlie".

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