Italicum e Colle caos Pd, Renzi: no a un partito dentro al partito

Italicum e Colle caos Pd, Renzi: no a un partito dentro al partito
di Mario Stanganelli
3 Minuti di Lettura
Martedì 20 Gennaio 2015, 05:49 - Ultimo aggiornamento: 11:10
ROMA - Resa dei conti interna nel Pd sulla legge elettorale, mentre sullo sfondo si staglia a distanza di una decina di giorni il voto per il Quirinale.

Una sorta di prova generale quella sull'Italicum sul quale si comincia a votare oggi in Senato in vista della seduta congiunta del Parlamento per la scelta del successore di Napolitano. La necessità per Renzi è quella di presentarsi con un partito compatto e solidale per quella che potrebbe essere la partita della vita. Ma è in questo scenario che si incunea l'ultimo tentativo della minoranza dem di riuscire, se non ad affossare l'Italicum, che Renzi, incontrando i senatori del Pd, ha ancora una volta dichiarato «senza alternative».



Ed è su uno specifico emendamento che la non esigua pattuglia degli oppositori di Renzi fanno muro: quello presentato dal senatore Miguel Gotor per cambiare radicalmente il sistema dei capilista bloccati nei collegi della prossima Camera. Portare cioè i deputati ”nominati“ dai vertici dei partiti dal 60-65 per cento come avverrebbe col sistema previsto dall'Italicum a circa il 30% e lasciare il resto alle preferenze espresse dagli elettori. «Siamo una trentina - ha detto Gotor in una conferenza stampa - e non voteremo l'Italicum se il nostro emendamento verrà respinto in aula».



Nel corso della riunione del gruppo di palazzo Madama con Renzi piuttosto scarse sono sembrate le possibilità di mediazione. «Il testo che uscirà dal Senato dovrà essere quello definitivo», ha detto il premier lamentando l'«ingenerosità» delle parole di Gotor nei suoi confronti e ha così ammonito il suo «nemico preferito» assieme al resto degli oppositori: «Non si può usare una minoranza come un partito nel partito».



IL CASO COFFERATI

Tuttavia, il segretario dem ha concesso 24 ore di tempo per la ricerca di qualche «soluzione tecnica» che possa «evitare una rottura» facendo slittare da ieri a oggi pomeriggio l'inizio delle votazioni sugli emendamenti . La fiammella della speranza per un accordo in extremis non è stata spenta da Gotor e dal suo gruppo che però sul nodo dei ”nominati“ non intendono mollare, anche se più di un segno di incrinamento ha cominciato a manifestarsi nella ”pattuglia dei trenta“. In sei hanno detto che se si arriverà a votare l'emendamento Gotor in contrapposizione al testo dell'Italicum, si asterranno. Altri quattro, poi, hanno ritirato la propria firma dall'emendamento per gli eccessivi rischi di crisi per governo e legislatura se la contrapposizione venisse portata fino alle estreme conseguenze.



Posizioni comunque distanti, con quella della minoranza che - se le cose restassero al punto in cui erano ieri sera - potrebbe, al massimo, modularsi sulla scelta di astenersi invece di votare contro l'Italicum, in un Senato in cui, però, l'astensione equivale al voto contrario. L'irrigidimento della minoranza è anche cresciuto quando è cominciata a circolare l'ipotesi della presentazione di un emendamento del renziano Stefano Esposito che, attraverso una variante del collaudato sistema del ”canguro“, potrebbe portare a decadenza assieme agli oltre 40 mila emendamenti presentati dalla Lega anche quello di Gotor e dei suoi trenta senatori. «Un trucchetto che offenderebbe il Pd e la Costituzione», ha bollato l'ipotesi lo stesso Gotor, che nei conversari di corridoio al Nazareno è stato ripagato con la stessa asprezza: «Stanno tentando un golpe. E' l'ultimo tentativo di mettere Renzi in minoranza». Veleni che corrono da tempo all'interno del Pd, e che la vicenda Cofferati ha contribuito ad esasperare.

All'ex leader della Cgil è venuto anche il rimprovero di Renzi intervistato a ”Quinta Colonna“: «Ha provato la sfida delle primarie in Liguria, le ha perse e il giorno dopo ha detto me ne vado. Non si fa così - ha osservato il premier - non è che se uno perde va via col pallone... Ricordo che è in Ue con i voti pd». «Non andrò mai via dal Pd, è la mia casa», fa sapere invece Pier Luigi Bersani. Per poi ammonire meno bonariamente, a proposito di riforme e Quirinale: «Che non si sparga l'impressione che si stia preparando la minestra con la destra per farla poi mangiare a un pezzo del Pd».