La via della seta: da Tashkent a Samarcanda, Bukhara e Khiva. L'Uzbekistan magico

La via della seta: da Tashkent a Samarcanda, Bukhara e Khiva. L'Uzbekistan magico
La via della seta: da Tashkent a Samarcanda, Bukhara e Khiva. L'Uzbekistan magico
di Guglielmo Nappi
10 Minuti di Lettura
Martedì 30 Agosto 2022, 14:35 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 23:39

Colori, profumi, storia millenaria, un vortice di emozioni profonde nel quale ci si immerge lentamente e dolcemente. La Via della Seta, la mitica Silk Road, è tutto questo e molto di più. Vederla, viverla è un percorso dei sensi in una terra ancora misteriosa e tutta da scoprire.

Uzbekistan, cuore dell'Asia

Siamo in Uzbekistan, probabilmente la più importante delle repubbliche del centro Asia, creatasi dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica. Si parte da Tahskent, la capitale. Una città  che - pur restando ancorata alla sua storia risalente agli Arabi che la fondarono nel 750 - è proiettata nel futuro anche e soprattutto dal punto di vista archittetonico.

Si parte da qui per immergerci in quella che è stata la rotta commerciale più importante della storia, crocevia dello scambio di merci, religioni e cultura tra Asia ed Europa. Ed è impossibile restare insensibili di fronte all'immenso patrimonio culturale e architettonico di questo affascinante passato. Viaggiare oggi attraverso la Silk Road significa assaporare la magia che questi luoghi hanno da sempre evocato; significa scoprire nuovi mondi, atmosfere mistiche; significa immergersi nel fascino dei loro colori: il color sabbia delle mura di Khiva, oppure il blu-turchese delle decorazioni delle madrase e delle cupole. Significa ancora passeggiare nei tipici bazar tra spezie, tessuti preziosi, gioielli mai visti prima e tanto altro.

 

Dai Canati all'impero russo. sino all'indipendenza

L'itinerario classico, da nord a sud, prevede Samarcanda, Bukhara e la lontana Khiva. Chiariamo, l'Uzbekistan è anche molto altro: è la fiabesca e popolosa valle di Fergana, è un percorso dell'anima sulle rive dell'Aral, è la scoperta dei suoi deserti, ma la Silk Road richiama da sempre il maggior numero di turisti. Nelle città gioiello di questo Paese è facile incontrare gruppi di cinesi come di russi, viaggiatori francesi o italiani, giapponesi o europei dell'Est. Un crocevia naturale che ha favorito lo svilupparsi delle idee e delle culture. Gli uzbeki sono sono un popolo amichevole, così come le altre etnie che convivono in questa terra. Viaggiando da Tashkent a Samarcanda sui moderni treni ad Alta Velocità che collegano le due città in un paio d'ore sarete sorpresi nel vedere come cambiano le fisionomie. Dai volti erotondi degli uzbeki a quelli più spigolosi dei Tagiki che già rimandano al vicino Oriente.


E i più attenti non faticheranno a notare come a cambiare è anche il linguaggio. Non a caso questa è la terra dei grandi Canati, descritti splendidamente nel Grande Gioco di Peter Hopkirk. E prima dei grandi condottieri, da Alessandro Magno ad Amir Timur, meglio conosciuto in Italia come Tamerlano. Solo alla metà del XIX secolo questa porzione di Asia centrale viene incorporata nell'impero russo e poi nell'Unione Sovietica. L'Uzbekistan di fatto è una nazione, dichiaratasi indipendente solo nel 1991. Una nazione giovane con un passato profondissimo.


Samarcanda, lo spettacolo del Registan

Dire che Samarcanda è il Registan è riduttivo, perché la città ha una storia di 2.700 anni, dal primo impero persiano all'influenza araba, poi timuride e uzbeka. Ma il Registan, patrimonio Unesco dal 2001, è la perla di un intero Paese. Vederlo, ammirarne le sfumature dei colori, le linee, lasciarsi sorprendere dall'armonia delle linee significa in tre parole "sindrome-di-Stendhal". Le tre madrase (le scuole islamiche) che si guardano fiere da secoli creano un'atmosfera unica ed è viva la sensazione del tempo che non scorre. Non a caso quest'area è immutata da secoli. Il raffinato gioco di colori e le tinte che vanno dall'azzurro al verde e al turchese, l'armonica perfezione di cupole, maioliche e piazza lascia esterrefatti. Ulug Beg, Shir Dor e Tilya Kari sono le tre madrase e gli artigiani che lavorano all'interno danno la misura delle capaicità uniche - dalla lavorazione della seta, ai tappeti, alle ceramiche, ai gioielli - che questo popolo ha acquisito nei secoli. La costruzione risale al 1417 grazie a Ulug Beg, nipote di Tamerlano, famoso astronomo, matematico e filosofo. Registan significa letteralmente "luogo della sabbia" a testimoniare il legame indissolubile con la terra circostante. Se lo spettacolo di colori è fantastico durante la giornata, i giochi di luce che iniziano la sera sono un ulteriore colpo di scena per il viaggiatore. Uno spettacolo unico, destinato a restare nell'anima. Per sempre.

Samarcanda, terra di eroi

Ma Samarcanda, appunto, non è solo questo. Animatissima e molto trafficata (conta oltre mezzo milione di abitanti) è una città dalle mille anime. Vie dello shopping in stile europeo convivono con antichi bazar dove è possibile acquistare di tutto. E ci si sofferma a guardare le grandi arterie cittadine dove le auto scorrono veloci. E' anche la terra degli eroi. Il mausoleo di Amir Timur, con il suo stile azero, è una tappa obbligata. Il leggendario condottiero avrebbe dovuto essere sepolto nella sua città natale, ma i posteri decisero diversamente ed è qui che viene ospitata la sua tomba che si chiama letteralmente "Guri Emir" (la tomba dell'emiro). La costruzione risale al 1403 ed era originariamente destinata al nipote. Viva la sensazione di trovarsi di fronte al sarcofago del grande condottiero (le spoglie riposano in realtà alcuni metri più in profonsità). La tomba sembra nera fintanto che un raggio di luce non la colpisce e allora la giada si colora di verde.
Merita una visita anche l'ossrevatorio di Uluğ Beg, probabilmente più famoso (anche in Europa) come astronomo che come sovrano. Negli anni 1420 costruì un immenso astrolabio, uno dei più grandi mai eretti, per misurare le posizioni delle stelle con accuratezza.

La Moschea di Bibi Khanum con l'ampio ingresso di 35 metri dimostra quanto questa terra abbia dovuto lottare contro le catastrofi naturali. Fu distrutta da un terremoto nel 1987, oggi è perfettamente ricostruita.

Bukhara, un'esperienza mistica

Samarcanda e Bukhara sono molto vicine. Ad unirle anche in questo caso è l'alta velocità che impiega poco più di un'ora. E' possibile anche spostarsi in taxi (le tariffe sono molto più convenienti rispetto a quelle europee) ma il treno è sicuramente il mezzo più comodo. Passeggiare a Bukhara è un’intensa esperienza mistica; si rimane affascinati dai colori della città e dalle sue stupende costruzioni: le vecchie madrase, le moschee, i minareti che testimoniano oggi la magnificenza del passato. Bukhara è stata riconosciuta nel 1993 Patrimonio dell’Unesco; fu distrutta dai mongoli di Gengis Khan, poi venne conquistata da Amir Timur. Più tardi divenne famosa come Canato di Bukhara e proprio in questo periodo si sviluppò molto la sua economia grazie ai traffici mercantili, divenendo una tappa importantissima sulla Via della Seta.

La piazza dove sorgono i tre edifici più importanti, il minareto Kalon, la moschea Poi Kalon e la madrasa Mir-i-Arab, è un vero e proprio gioiello. Il minareto Kalon fu fatto costruire dal sovrano Harakhanide Mohammad Arslan Khan nel 1127, per chiamare i musulmani alla preghiera attraverso le sedici finestre ad arco che lo sormontano. In tempo di guerra fu utilizzato come torre di avvistamento dei nemici; è noto anche come Torre della Morte perché durante la guerra i criminali venivano gettati giù dall’alto del minareto. E’ una costruzione imponente che sembra essere ricamata con un merletto finissimo; quando fu costruito rappresentava l’edificio più alto dell’Asia centrale e si racconta che Gengis Khan ne rimase talmente impressionato che lo risparmiò alla sua furia. Vederlo illuminato di sera è un'esperienza mozzafiato. La Moschea Poi Kalon è di una bellezza rara; è stata completata nel 1514. Di fronte al cortile si trova un bellissimo portale piastrellato da cui si accede alla sala di preghiera; è sormontata da una cupola di piastrelle dal caratteristico colore blu. Si rimane incantati di fronte alla bellezza della Madrasa Miri-i-Arab con le due meravigliose cupole turchesi. L'ark di Bukhara, con un perimetro esterno di 790 metri, è una fortezza che presidia la parte nordoccidentale della città. Ospitava le corti reali e il governo della città, ma oggi all'interno ci sono interessanti musei che ricostruiscono la storia della città.

Bukhara, magia e colori

Nelle vicinanze, imperdibile, il mausoleo di Ismail Samani, piccolo e unico, costruito nel 905 dal potente e influente emiro della dinastia Samanide. La magia antica resta intatta perché il santuario fu sepolto dal fango delle inondazioni. Le orde mongole che raggiunsero questa terra così lo risparmiarono. Il sito è stato riscoperto solo nel 1934 da archeologi sovietici. Oggi il santuario è considerato sacro.

Ma Bukhara non è solo tesori antichi, è anche il calore di un popolo che cammina fianco a fianco al viaggiatore nelle animate vie del centro e, di sera, nei raffinati locali notturni. Una città raccolta, quasi intima, dove si respira un'atmosfera di altri tempi. Forse il posto dove vi sentirete più lontani dalla frenesia europea. Qui, secondo gli abitanti, si mangia anche il miglior plov di tutta l'Asia centrale. Il piatto che incorona la cucina uzbeka (riso speziato a base di carne di montone, cipolle, carote, e uva passita) raggiunge note sublimi. Ogni regione del Paese ha la sua variante, qui il riso non viene cotto al vapore, bensì lasciato andare nello zirvak – un ricco intingolo a base di carne e verdure – sino a quando non avrà assorbito tutto il liquido. Il saluto alla città viene sintetizzato dall'ultima passeggiata serale nelle animate vie del centro. Bella e un po' malinconica come accade quando alle spalle si lascia un luogo magico.

Khiva, l'oasi ai margini del deserto

Bukhara e Khiva sono separate da quasi 400 km e il treno che le collega viaggia pigramente tra steppa e deserto. La città emana una bellezza suggestiva, dai colori che cambiano in base alle ore. Nonostante i tanti turisti, si respira un’aria di pace e si ha la sensazione di trovarsi quasi in un luogo sacro. Secondo la leggenda Khiva fu fondata quando Sam, figlio di Noè, scavò un pozzo in questa zona. Sicuramente esisteva già nell’VIII secolo come stazione commerciale lungo la Via della Seta. Appartiene alla provincia di Corasmia ed è vicina alla città di Urgench, capoluogo della stessa provincia. La città è un’oasi ai margini del deserto e molto vicina alla frontiera con il Turkmenistan. Alla fine del XVI sec. l’emiro abbandonò la città di Urgench e si stabilì a Khiva con tutta la sua corte. Le mire espansionistiche della Russia zarista nella regione si manifestarono fin dal 1717, anno in cui lo zar Pietro il Grande inviò truppe al comando del principe Alexander Bekovich Cherkassky. La missione fallì, il principe fu scuoiato vivo e la sua pelle servì per confezionare tamburi. I prigionieri russi furono venduti come schiavi al mercato di Khiva. La città, infatti, era nota per essere un fiorente mercato di schiavi. Nel 1873 i russi riuscirono a conquistare Khiva ma fu permesso al Khan di continuare a regnare sotto il suo protettorato. Nel 1918 crollò il regime zarista e l’emiro fu assassinato. Nel 1920 fu proclamata la Repubblica popolare della Corasmia; l’ultimo Khan uzbeko fu costretto ad abdicare. Nel 1924 Khiva fu assorbita nella neocostituita Repubblica sovietica dello Uzbekistan. La città di Khiva è divisa in due parti: - Itchan Kala, la città vecchia recintata da mura ricostruite nel XVII secolo; - Dichan Kala, l’abitato all’esterno delle mura. Ci sono quattro porte per accedere nella città vecchia: - Bogcha Darzova, Porta del Giardino. - Palvan Darzova, Porta del Gigante. - Tosh Darzova, Porta di Pietra. - Ota Darzova, Porta del Padre. La porta più celebre attraverso cui accedere per entrare nell’Itchan Kala è la Ota Darzova che si trova sul lato ovest delle mura. E’ stata ricostruita nel 1975 e riproduce quella distrutta dai sovietici nel 1920.

Khiva, lo splendore dell'Itchan Kala

Il centro storico è molto ben conservato, ci si aggira tra moschee, palazzi e madrase; dopo il blu di Samarcanda e il color sabbia di Bukhara si resta affascinati dal turchese delle piastrelle delle decorazioni della Città vecchia, si ha la sensazione di camminare in un museo a cielo aperto. Lascia esterrefatti il minareto Kalta Minor, incompiuto, che catalizza lo sguardo da qualsiasi parte della città lo si guardi. Tra gli altri monumenti la Madrasa del Khan Mohammed Amin è tra i più belli: fu costruita tra il 1852 e il 1855; poteva ospitare circa 250 studenti. Oggi l’edificio è stato trasformato in un hotel di lusso. Si oltrepassa il maestoso portale d’ingresso e si accede in un cortile dove un tempo venivano impartite le lezioni. A sinistra si trova la Moschea che ospita il bar dell’albergo. La Madrasa Allakuli Khan fu costruita nel 1834; la facciata principale è decorata con maioliche bianche e blu. La Moschea Djuma risale al X secolo, ma fu ricostruita nel XVIII secolo e restaurata tra il 1996 e il 1997. Il suo interno è costituito da un’unica grande sala con 218 colonne di legno.  

La Via della Seta, un luogo dove tornare

La Via della Seta, nel suo percorso classico termina qui. La maggior parte dei viaggiatori torna a Tashkent dal moderno aeroporto di Urgench lasciandosi alle spalle mille esperienze: dal pane morbido, croccante (e rigorosamente sferico) di Bukhara ai tramonti di Khiva sul deserto; dalla carta di gelso di Samarcanda, al grande bazar di Tashkent dove si trovano abiti, spezie, plov e splendide venditrici con il foulard. E poi l'arte dei tappeti, i bambini che sorridono ovunque, il visibile sforzo di un Paese che si apre alla modernità senza dimenticare la tradizione. È l'Uzbekistan, qui si lascia un pezzetto di cuore.

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