L'analisi/Durata delle concessioni, royalty e partita politica: tutto quello che ruota attorno al referendum

L'analisi/Durata delle concessioni, royalty e partita politica: tutto quello che ruota attorno al referendum
di Francesco G. GIOFFREDI
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Domenica 17 Aprile 2016, 06:37 - Ultimo aggiornamento: 11:29
Le due partite s’intrecciano l’una all’altra in modo diabolico, ormai quasi inestricabile: il merito del referendum odierno su piattaforme e trivelle in mare (quesito all’apparenza dalla portata “chirurgica”, limitata a una norma del cui peso reale si dibatte da settimane) e il fiammeggiare della polemica politica. Come se - prima sottotraccia e poi nell’involucro - ci fosse (e in effetti c’è) una batteria di altri quesiti: sulla politica energetica italiana, sul ruolo delle Regioni, sul sentiment (o gradimento) di cui può godere o meno il governo Renzi, sugli equilibri nel Pd, sulla proiezione nazionale del governatore pugliese Michele Emiliano.

I sostenitori del “no” e dell’astensionismo mettono l’accento sulla marginalità del quesito (che non incide su nuove, possibili, concessioni) e sulla gittata economica dello stop alle piattaforme già attive (effetti su approvvigionamento energetico, importazioni, occupati). Il fronte del “sì” intravede non solo nella norma in vigore il «favore ai petrolieri», ma anche la possibilità - con una vittoria - di raddrizzare il legno storto delle strategie energetiche nazionali, spostando così le linee d’indirizzo sulle rinnovabili.

Ma proprio il lievitare impetuoso delle chiavi di lettura dirotta il faro sulla Puglia: qui si misurerà, prima tra tutte le regioni, il quorum (50% dei votanti più uno: raggiungerlo è per un referendum abrogativo condizione essenziale perché sia valido). Del resto è questa la regione-incubatore di Emiliano, che mese dopo mese s’è cucito addosso l’abito del frontman nazionale no-triv, ed è terra dove l’ambientalismo s’addestra da tempo nel braccio di ferro contro le trivellazioni in mare, anche se tecnicamente nessuna delle piattaforme interessate dal quesito è “pugliese”. Intanto il governatore spiega che «se in Italia voteranno in 10 milioni, e cioè uno su cinque, sarà stato un successo», così avvertendo la “crepa strutturale”: la guerra del quorum, anche perché il premier Matteo Renzi soffia sul fuoco dell’astensionismo, ritenendo il referendum «una bufala». È l’apice dello scontro ormai epocale e a lame sguainate tra premier e governatore. Ma prima ancora che del piano politico (e della crociata intrapresa da Emiliano, e dell’eventuale successo o fallimento che potrebbe incassare stanotte), c’è da passare al radiografo il quesito referendario.

Il quesito: la durata delle concessioni già in essere
Inizialmente i nove Consigli regionali (è la prima volta d’un referendum d’iniziativa istituzionale) avevano proposto sei quesiti: cinque sono stati intanto già assorbiti, e dunque soddisfatti, dalla Legge di stabilità. Il quesito superstite chiede a tutti gli italiani se si intende abrogare la norma che permette a chi ha ottenuto concessioni per estrarre gas o petrolio da piattaforme entro le 12 miglia dalla costa di rinnovare la concessione fino all’esaurimento del giacimento. La durata delle concessioni è trentennale: se vince il “sì”, dopo quel limite l’estrazione di gas e petrolio dovrà stopparsi; col “no” si prosegue fino a esaurimento del giacimento (dopo una serie di proroghe). Nuove concessioni entro le 12 miglia sono già vietate, quelle oltre il limite - pur possibili - non sono invece sfiorate dal quesito. Sempre in tema di durata delle concessioni, si discetta sulla reviviscenza della legge 9 del 1991: secondo Emiliano col successo del “sì” la vecchia legge permetterebbe di procedere a proroga di concessioni, ma con un robusto potere negoziale delle Regioni; secondo il governo la legge è ormai cancellata dalla successiva “stratificazione” normativa, e quindi niente proroghe e addio giacimenti e posti di lavoro.

Quali piattaforme sono coinvolte
Sono 44 le concessioni al centro del referendum, e riguardano in particolare 90 piattaforme, nessuna in Puglia. Intanto nove concessioni sono già scadute e le altre - in caso di vittoria del “sì” - lo saranno entro il 2034, anno nel quale non sarà più attiva nessuna concessione entro le 12 miglia. Nel 2016 sono previste scadenze di concessioni (12), principalmente in Adriatico. Sempre se dovesse essere raggiunto il quorum e dovesse imporsi il “sì”, le concessioni e i permessi già rilasciati e relativi ad impianti entro le 12 miglia avranno una scadenza certa e resteranno attivi fino alla data fissata al momento dell’ottenimento del titolo. Tra le piattaforme entro le 12 miglia al centro del referendum solo cinque estraggono petrolio (0,5 miliardi di tonnellate), mentre tutte le altre occorrono all’estrazione di gas (1,9 miliardi di metri cubi), e in termini di fabbisogno nazionale nel 2015 le piattaforme entro le 12 miglia hanno soddisfatto rispettivamente il 3 e l’1% per gas e petrolio.

Il nodo delle royalty
Lo Stato concede il bene demaniale alle società d’idrocarburi a fronte di un ristoro: tasse sul reddito generato e royalty, che in Italia sono fra il 4 e il 10% del valore estratto. Nel 2014 le royalty (per impianti a terra e mare) hanno prodotto un gettito di 401 milioni, nel 2015 di 352. Altri Paesi europei hanno royalty zero e puntano sul prelievo fiscale. In Italia il ristoro è fra il 50 e il 68% del valore del giacimenti (altri esempi: in Norvegia al 78%, in Inghilterra fra il 68 e l’82%, in Francia fra il 37 e il 50%). La maggioranza delle piattaforme è gestita da Eni (76 su 90). La vittoria del “sì”, incidendo sulla durata delle concessioni, secondo il fronte no-triv indurrebbe le compagnie a estrarre in tempi più rapidi e a pagare così più royalty. Non solo: abrogando la norma in vigore, scatterebbe l’obbligo di smantellare le piattaforme non più operative, con costi elevati per le società - sottolineano i no-triv.

Le ragioni del sì e del no
Secondo la trincea no-triv dell’abrogazione della norma ne beneficerebbe l’ambiente marino italiano, scongiurando del tutto il rischio di incidenti, non ci sarebbero «favori ai petrolieri», il danno in termini d’approvvigionamento è irrisorio (sarebbero giacimenti marginali e poco redditizi), e la vittoria del “sì” sarebbe un incentivo fondamentale a una nuova stagione di valorizzazione delle rinnovabili, senza trascurare il rinvigorito protagonismo delle Regioni e dei territori nel dibattito politico-economico nazionale. Il governo e tutto il fronte del “no” referendario contestano però più punti: non sono in ballo nuove trivellazioni, e con lo stop prematuro alle concessioni si abbandonerebbero nel sottosuolo «grandi quantità di idrocarburi, soprattutto gas, non sfruttate», utili peraltro come “strategia ponte” verso il sorpasso delle rinnovabili sulle fonti tradizionali; la dipendenza energetica dell’Italia salirebbe dal 76 all’81%, costretti a dare 750 milioni di euro in più all’anno per i prossimi 15 anni a Paesi stranieri; sullo sfondo ci sarebbero poi la partita occupazionale (soprattutto nell’area di Ravenna) e persino l’aspetto ambientale (secondo chi ostacola il referendum, il calo di estrazioni dovrebbe essere compensato dal maggior transito di petroliere nei nostri porti).

La partita politica
Grandi polemiche ha scatenato l’invito all’astensione da parte di Renzi, incendiando ulteriormente il dibattito sul se e come votare. Per il “sì” - oltre ovviamente a comitati e associazioni - si schierano M5s, Sinistra Italiana, Lega, Fratelli d’Italia, Udc, Forza Italia (con qualche eccezione), Conservatori&Riformisti. Inutile negarlo però: molte forze politiche armano il referendum come una clava politica per indebolire alla radice Renzi. L’astensionismo è la linea ufficiale del Pd renziano (e sembrerebbe anche di Ncd), ma la minoranza dei democratici innanzitutto spinge per la partecipazione al voto, e in molti casi anche per il “sì”. La rappresentazione ormai più fulgida in tal senso è Emiliano, “corazziere” no-triv che - dopo mesi di guerra aperta a Renzi - ha trovato nel referendum la password per caricare a testa bassa contro il premier e sfidarlo a viso aperto. Durata delle concessioni o meno, il quesito odierno è allora anche questo: il primo test in ottica casalinga e nazionale per il governatore pugliese.
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