Cafiero de Raho: «Pentiti decisivi nella lotta alla mafia, la scarcerazione di Brusca non è un trattamento di favore»

Cafiero de Raho: «Pentiti decisivi nella lotta alla mafia, la scarcerazione di Brusca non è un trattamento di favore»
di Gigi DI FIORE
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Mercoledì 2 Giugno 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 06:40

Federico Cafiero de Raho è dal novembre 2017 il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.
Procuratore Cafiero de Raho, molti si sono indignati per la scarcerazione di Giovanni Brusca. Una decisione presa nel pieno rispetto delle leggi, senza benefici particolari?
«La scarcerazione di Giovanni Brusca, collaboratore di giustizia, ha rispettato quanto prevedono le norme. C’è stato un ricalcolo sulla detenzione, che ha dovuto tenere conto della riduzione dei 45 giorni all’anno concessi in caso di buona condotta carceraria. Per questo, la scarcerazione è stata anticipata».
Maria Falcone, la sorella di Giovanni Falcone, ha commentato a caldo che, anche se è doloroso, bisogna rispettare le norme che poi volle il fratello. Che ne pensa?
«È proprio così. Siamo di fronte a un collaboratore di giustizia che non ha mai avuto particolari benefici. Proprio per la sua storia criminale ha scontato in carcere tutta la pena che gli è stata riconosciuta, nonostante abbia più volte chiesto la detenzione domiciliare. È uno dei casi, anzi, in cui, tenuto conto degli sconti di pena concessi dalla legge per la sua collaborazione con la giustizia, gli è stato applicato il massimo della condanna con estremo rigore».
La Procura nazionale ha dovuto dare il suo parere, a ogni richiesta di detenzione domiciliare presentata dagli avvocati di Brusca?
«Sì, nelle due ultime occasioni abbiamo sempre espresso parere negativo, seguendo quanto nel 2019 ha indicato la Cassazione proprio sul ricorso dei legali di Brusca. Ebbene, quella decisione stabiliva che non basta la collaborazione con la giustizia, ma occorre un dimostrato ravvedimento per concedere il beneficio dei domiciliari. Ravvedimento su cui non esistevano elementi di valutazione che sono soprattutto di tipo etico».
Brusca, personaggio violento e protagonista della stagione delle stragi di Cosa Nostra, ha collaborato fino in fondo con la magistratura?
«Da più valutazioni e inchieste si è compresa l’importanza della collaborazione di Brusca. Un personaggio di vertice, autore e ideatore delle stragi mafiose. Ha aiutato a conoscere dettagli dell’organizzazione, le strategie mafiose, le modalità delle stragi. Fondamentale è stato il suo apporto sulla conoscenza delle stragi continentali a Firenze, Roma e Milano».
La legge del 1991 sui collaboratori di giustizia ha bisogno di modifiche?
«In 30 anni, quella legge, risultata preziosa per le inchieste sulle organizzazioni mafiose, ha avuto ritocchi e modifiche, come quelle fondamentali del 2001. Si è inciso sulla qualità delle dichiarazioni, che devono avere carattere di novità, fornire conoscenze senza limitazioni, e non possono essere tardive. Poi, si sono introdotte norme rigide sui comportamenti che il collaboratore e i suoi familiari sono tenuti a tenere in regime di protezione».
Non c’è nulla da modificare ancora?
«Credo che le norme attuali siano giuste e offrano strumenti investigativi importanti ai magistrati. Va detto che dei collaboratori di giustizia non si può fare a meno, sono strumenti indispensabili di conoscenza. Nelle indagini di mafia, si uniscono alle intercettazioni che riescono a fornire solo frammenti, episodi, singole circostanze. La lettura e la conoscenza profonda dal di dentro, come è avvenuto con le dichiarazioni di Giovanni Brusca su Cosa Nostra, possono fornirle solo i collaboratori di giustizia».
Quindi il coro degli indignati sulla scarcerazione non tiene conto della realtà?
«Non entro nel merito, dico che 30 anni fa si capì che, come negli Stati Uniti, bisognava cercare di disciplinare in dettaglio l’apporto che potevano dare i cosiddetti pentiti. Senza di loro, non avremmo conosciuto tante cose delle organizzazioni mafiose, non avremmo potuto fare alcuni arresti di latitanti».
C’è sempre un problema di valutazione delle dichiarazioni dei pentiti?
«Su questo la magistratura ha maturato ormai esperienza profonda e ha acquisito grande professionalità che consentono di valutare la qualità delle dichiarazioni e le tipologie dei collaboratori».
Qualcuno, come Claudio Fava, lamenta che ancora non si conosce tutto sulle stragi mafiose, riferendosi alla partecipazione di personaggi non affiliati. Brusca non ha aiutato, su questo?
«Brusca ha detto quello che sapeva, fornendoci notizie preziose sull’organizzazione. Più decisioni hanno stabilito che di più non poteva né sapeva dirci. Ma il livello esterno a Cosa Nostra di partecipazione alle stragi è ancora al centro di inchieste».
I fascicoli sono ancora aperti?
«Sì abbiamo più volte come Procura nazionale coordinato riunioni tra i colleghi degli uffici che lavorano su questo approfondimento da chiarire. Colleghi di Milano, Firenze, Catania, Caltanissetta, Palermo, Reggio Calabria».
Lavorano sulla presenza di donne negli attentati a Firenze e Milano?
«Su questo e ogni altro elemento che riguarda le complicità esterne a Cosa Nostra. Nella sentenza sulla strage di Bologna, è emerso, ad esempio, un personaggio poi comparso nelle inchieste sulla trattativa Stato-mafia. Insomma, la scarcerazione di Brusca non incide sul proseguimento delle indagini, ancora in corso, per scavare a fondo sulle responsabilità di quelle stragi».
Nelle dichiarazioni a caldo, soprattutto di alcuni esponenti del movimento 5 Stelle, si dice che bisogna subito approvare una legge sull’ergastolo ostativo. È una legge urgente?
«Dopo i rilievi della Corte costituzionale, è una legge su cui il legislatore deve lavorare con urgenza. Va ora studiato un sistema che non colleghi la possibilità di uscire dopo 30 anni dal carcere solo alla scelta di collaborare con la giustizia. Il famoso “fine pena mai”, considerato anticostituzionale, va ora riconsiderato sulla base di valutazioni che dimostrino come il detenuto abbia interrotto ogni legame con l’organizzazione mafiose e il crimine. Elementi diversi dalla secca collaborazione con la giustizia, su cui il legislatore è chiamato a riflettere a fondo».
 

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