Settimana lavorativa di 4 giorni anche in Italia, la Cisl chiede la sperimentazione: «Ripensare gli orari»

Benaglia, segretario generale Fim Cisl: «La positiva sperimentazione nel Regno Unito deve far aprire anche qui un confronto»

Settimana lavorativa di 4 giorni anche in Italia, la Cisl chiede la sperimentazione: «Ripensare gli orari»
Settimana lavorativa di 4 giorni anche in Italia, la Cisl chiede la sperimentazione: «Ripensare gli orari»
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Giovedì 23 Febbraio 2023, 07:47

La settimana lavorativa corta da 4 giorni è possibile anche in Italia? Al momento no (e anche in Europa sono pochi gli esempi) ma l'eco della sperimentazione nel Regno Unito è arrivata anche nel nostro Paese. «La notizia relativa alla positiva sperimentazione della settimana corta nel Regno Unito, in 61 aziende con interessanti risultati sia per le imprese che per i lavoratori, deve aprire anche in Italia un confronto tra parti sociali nella stessa direzione. È tempo di regolare il lavoro soprattutto nel settore manifatturiero in modo più sostenibile, libero e produttivo», ha detto in una nota Roberto Benaglia, segretario generale dei metalmeccanici della Fim Cisl. «È possibile ripensare gli orari aziendali e ridurli non contro la competitività aziendale ma ricercando nuovi equilibri e migliori risultati. La Fim Cisl già lo scorso anno ha proposto di negoziare, soprattutto a livello aziendale, una forma di lavoro fatta di 4 parti di attività piena e 1/5 di riduzione d'orario che possa essere dedicata anche alla formazione o ai carichi di cura», spiega Benaglia. «Non si tratta di ridurre gli orari in modo generico, come nel secolo scorso, ma di rendere il lavoro maggiormente sostenibile e flessibile verso i bisogni delle persone. Significa rendere i posti di lavoro più attrattivi». «Il sindacato - conclude - deve tornare a elaborare sfide vincenti e innovative in tema di organizzazione del lavoro per contrattare e creare un lavoro produttivo ma maggiormente sostenibile».

Settimana corta, lo studio nel Regno Unito

Lo studio è stato condotto da un team di scienziati dell'Università di Cambridge su 2.900 dipendenti e 61 organizzazioni nel Regno Unito, che si sono impegnate a ridurre del 20% l'orario di lavoro per tutto il personale per sei mesi, senza alcun calo dei salari. Dai risultati è emerso come circa il 71% dei dipendenti abbia dichiarato livelli inferiori di «burnout» e il 39% ha detto di essere meno stressato rispetto all'inizio del processo. Questo si è tradotto in una riduzione del 65% dei giorni di malattia e in un calo del 57% del numero di dipendenti che lasciano le aziende partecipanti, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. I ricavi delle aziende sono cambiati poco durante il periodo di prova, aumentando anche marginalmente dell'1,4% in media per le 23 organizzazioni che hanno fornito dei dati. Circa il 92% delle aziende che hanno preso parte al programma nel Regno Unito (56 su 61) ha affermato di voler continuare con la settimana lavorativa di quattro giorni, con 18 aziende che hanno confermato il cambiamento come permanente. Tra i dipendenti, si legge nello studio, «i livelli autodichiarati di ansia e affaticamento sono diminuiti, mentre la salute mentale e fisica è migliorata».

Molti intervistati hanno affermato di aver trovato più facile conciliare il lavoro con gli impegni familiari e sociali: il 60% dei dipendenti ha riscontrato una maggiore capacità di combinare il lavoro retribuito con le responsabilità di cura e il 62% ha riferito che è più facile combinare il lavoro con la vita sociale.

Bonaccini: «Può darsi che la settimana corta sia la strada da seguire anche in Italia»

«Può darsi che la settimana corta sia la strada da seguire anche in Italia, ma prima di tutto bisogna creare lavoro, perché purtroppo nel nostro Paese c'è gente che non si può permettere la settimana corta visto che non ha nemmeno un giorno di lavoro». Così il candidato alla segreteria del Pd Stefano Bonaccini a margine di un incontro con i cittadini in un teatro genovese commenta l'esito positivo dei test sulla settimana corta lavorativa in Gran Bretagna. «La precarietà è il vero gigantesco problema italiano insieme a quello dei redditi, - ribadisce Bonaccini - è per questo che propongo di tagliare il costo del lavoro, altro che tassa piatta che dà benefici fiscali a chi sta già bene o molto bene, i miliardi della tassa piatta vanno investiti per chi è in difficoltà davvero».

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