Sanità, Ospedale “Perrino” di Brindisi: il viaggio tra turni infiniti e corsie al collasso

Sanità, Ospedale “Perrino” di Brindisi: il viaggio tra turni infiniti e corsie al collasso
di Andrea TAFURO
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Lunedì 1 Agosto 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 2 Agosto, 06:55

Turni di servizio che superano anche le 12 ore, medici stremati dal grande lavoro tra urgenze e gestione dei casi Covid in ambienti stretti e obsoleti. Il viaggio nei pronto soccorso della Puglia fa tappa all’ospedale “Perrino” di Brindisi.

La grande struttura sanitaria monoblocco, dai balconi verdi e gialli, entrata in funzione 20 anni fa, annaspa, inizia ad avvertire l’usura del tempo e soffre l’incremento degli accessi in pronto soccorso che tra pandemia e traumatologie da caldo non si arresta, a fronte dell’atavica carenza di personale, che tra i medici sfiora il 75% del fabbisogno del reparto di emergenza urgenza. Inadeguatezza numerica della prima linea d’intervento già vista nel pronto soccorso del “Dea-Fazzi” di Lecce e che riguarda anche gli infermieri, soprattutto quelli in servizio nella postazione fissa del 118, distante poche decine di metri dall’area di emergenza-urgenza del Perrino.

Il viaggio

Qui, alcuni operatori sono intenti nella vestizione per iniziare il proprio turno. Le difficoltà sono tante, soprattutto nella disponibilità di personale, ma il telefono squilla ugualmente. L’emergenza non attende. Dalla centrale operativa di Fasano arriva la richiesta d’assistenza sanitaria sul territorio. Sirene accese e l’ambulanza riparte. Nel mezzo delle due aree, il blocco ospedaliero con i pazienti Covid: tredici posti letto provvisori che precedono il ricovero nei reparti. L’accesso al “settore” dei ricoverati avviene attraverso una rampa laterale che gli infermieri affrontano spingendo manualmente la barella. Poco più avanti, posizionata a lato, c’è una grande tenda blu, dove gli operatori sanitari intervenuti nella gestione dei casi Covid, fanno rientro a fine attività per la svestizione dalle ampie tute bianche e la sanificazione personale e del mezzo.

Tutto questo via vai ad alta intensità è compresso in spazi ridotti, dove i camici bianchi sono costretti a fare su e giù senza sosta, tra codici verdi, le urgenze dei rossi e i ricoveri dei contagiati dal virus. Si viaggia sui 250 accessi al giorno.

Circa il 60% è portato in ospedale dalle ambulanze del 118. Poi c’è chi arriva autonomamente dall’esterno: il percorso non è difficile una volta superato l’ingresso, ma non appropriatamente segnalato. Le indicazioni, quasi sempre solo in italiano, non aiutano gli avventori a distinguere tra pronto soccorso pulito e “blocco covid”. Un rischio che distrattamente si può correre, ma che sarebbe meglio evitare.

Le criticità

Le criticità sono tante, dalla carenza di medici, agli ascensori bloccati, dal mal funzionamento degli impianti di condizionamento alle sale operatorie e posti letto insufficienti per coprire la richiesta degli utenti. Il Perrino, nosocomio di secondo livello, anche a detta del direttore generale dell’Asl Brindisi, «presenta forti carenze che sono difficilmente superabili, a causa della ubicazione del lotto e della distribuzione planimetrica dello stabile». La diagnosi dell’ospedale “malato” è presto fatta, ma non basta a risolvere le urgenze mediche che si susseguono. I momenti di tregua nel pronto soccorso sono ridotti al minimo. La notte è stata dura, «tanti gli interventi» raccontano alcuni operatori che hanno da poco smontato.

«Siamo stanchi, superiamo le 160 ore mensili e non abbiamo grandi possibilità di andare in ferie» racconta un autista soccorritore. A fargli eco, poco distante, Paolo Mariani, infermiere e consigliere nazionale del Siiet (Società Italiana degli Infermieri di Emergenza Territoriale). «Disponiamo di sole 5 auto mediche in tutta la provincia – spiega Mariani - e non abbiamo medici e infermieri a sufficienza per attivare le ambulanze “mike” e “india”. Nonostante l’organizzazione che ci siamo dati, le difficoltà derivano da carenze strutturali del sistema sanitario. Spesso siamo costretti ad intervenire con mezzi con solo soccorritore a bordo e i rischi per il personale sanitario e il paziente da trattare possono essere elevati».

Intanto la giornata prosegue. Dopo un avvio apparentemente tranquillo, si cambia marcia. I presidi ospedalieri periferici non offrono grande supporto e tante delle richieste urgenti di soccorso si concentrano nell’ospedale del capoluogo. La frenesia corre in corsia, dove i pazienti attendono, sospirano e cercano lo sguardo di operatori e medici, speranzosi di essere chiamati per il proprio turno di visita. A intervalli irregolari qualche operatore sanitario entra nell’area “calda” per portare assistenza, recuperare le barelle libere e consegnare delle bottigliette d’acqua ai medici bisognosi di ristoro. Dall’esterno non tutto è visibile. L’attesa dei familiari dilatata nel tempo che scorre, ovatta il trambusto a cui i medici sono costretti a porre rimedio. Eppure la mattina in Pronto soccorso, non è tra le peggiori dell’ultimo periodo. In attesa circa 7 pazienti, 14 in visita e molti altri passati allo step successivo o pronti per le dimissioni. In carico nel sistema se ne contano circa 70. Tre i medici a coprire il turno dalle 8 alle 14. Poi alle 14 due vanno a casa, il terzo attende un nuovo collega e riparte il servizio sino alle 20. Nel frattempo i pazienti in attesa sono divenuti 14. Invece quelli in visita sono 16. Le risorse sanitarie scarseggiano, la stanchezza sopraggiunge e si corre il rischio dell’errore. Il turno notturno fino all’indomani spetterà ad altro medico, che sarà solo nella gestione delle urgenze e degli arrivi Covid.

Pochi a ruotare

In tutto, nel pronto soccorso ruotano a turno 5 o 6 camici bianchi più qualche specialista inviato dai “piani alti”, ma ne occorrerebbero secondo il piano regionale oltre 20. Il pericolo “imbuto” in entrata tra 118 e pronto soccorso, tuttavia, è scongiurato. Non ci sono ambulanze bloccate. Resta invece forte l’inadeguatezza degli ambienti e dei posti letto disponibili nell’area di emergenza e nei reparti. I fast truck (percorsi rapidi in cui l’infermiere di triage, in autonomia e dopo aver valutato e accertato il bisogno di salute dell’utente, invia quest’ultimo direttamente allo specialista competente) che potrebbero in parte risolvere il problema, non sono ancora attivi all’interno del nosocomio.

La recrudescenza della pandemia invece, 8.316 le persone positive nel brindisino al 17 luglio, con una media di 550 nuovi contagi giornalieri, ha costretto la direzione sanitaria a riconvertire l’unità di osservazione breve intensiva, con 9 posti letto, in area per la gestione dei pazienti con patologie diverse a cui si aggiunge il Covid. Chi non è positivo quindi, staziona tra la stanza dei codici bianchi/verdi e giallo/rossi, in attesa di ricovero nei reparti. Attesa che può prolungarsi anche per tre o quattro giorni. L’area Covid del Perrino conta invece oltre 35 ricoverati su 46 posti disponibili tra malattie infettive, pneumologia e area mista (tra cui il reparto di chirurgia plastica). La “coperta” del personale al “Perrino” di Brindisi, come in tanti altri ospedali della Puglia, è sin troppa corta. E al momento i tentativi di tesserne una più lunga ed efficiente sono andati purtroppo a vuoto.

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