Boom di chiamate al call center Covid: «Dobbiamo chiuderci in casa?». «Ho il virus, mi aiuti»

Boom di chiamate al call center Covid: «Dobbiamo chiuderci in casa?». «Ho il virus, mi aiuti»
di Stefania Piras
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Martedì 18 Agosto 2020, 00:13 - Ultimo aggiornamento: 21:26

A volte telefonano solo per sedare gli attacchi di panico. E in alcuni casi sono infondati o dettati dalla paura, dal pentimento di essersi semplicemente lasciati andare a situazioni dove c’era molta gente ravvicinata. «Abbiamo fatto un aperitivo, un’ora, un’ora e mezza nel baretto della spiaggia, niente di più: mi devo preoccupare dottore?». Sono vere e proprie confessioni quelle che vengono sussurrate al telefono ai medici del Numero verde Covid messo a disposizione dalla Regione Lazio 800.118.800).

LO PSICOLOGO
«Sono tornato dalla Grecia una settimana fa. Ho contratto il virus, mi sento la febbre, mi sento strano, mi aiuti». A quel punto, dopo le istruzioni pratiche, si può anche passare la telefonata a uno psicologo. In tutti i casi, all’altro capo del telefono c’è sempre un medico specializzato che risponde e orienta. Anche a costo di spiegare, per cento volte al giorno, che osservare la quarantena è importante. Perché tra le oltre 1500 chiamate al giorno che arrivano al numero verde o spuntano le domande più disparate. Siamo bombardati dalle informazioni sul Covid-19 eppure, nell’ansia di voler tornare alla normalità fioccano dubbi ed errori, comportamenti imprudenti e dimenticanze imperdonabili. C’è chi esce di casa prima di aver ricevuto l’esito del tampone, ad esempio. C’è chi, positivo al virus ma asintomatico, ha chiesto se doveva davvero rinunciare al Ferragosto con gli amici e restare per forza in casa.

LE FILE
C’è chi è partito autonomamente in barca e chiede se può osservare la quarantena in barca. Risposta: l’importante è essere reperibili per la Asl di riferimento. «Ora ci chiedono soprattutto dove e quando fare i tamponi: ne hanno bisogno soprattutto per tornare con tranquillità al lavoro», spiega Annamaria Roscioni, medico referente del Numero Verde Covid. Le file ai drive-in sono sempre molto lunghe e prima di arrivarci spesso c’è una telefonata al numero verde. Il consiglio è sempre contattare il proprio medico curante e procurarsi la ricetta dematerializzata che facilita molto le procedure di registrazione al drive-in. Senza ricetta si aspetta di più. Basta avere il codice fiscale e l’attestazione di viaggio, cioè il biglietto.  Da quando è stata emanata l’ordinanza, il 12 agosto scorso, che obbliga al tampone se si rientra da Croazia, Spagna, Malta e Grecia c’è stato un incremento netto di chiamate con un picco di oltre 5 mila telefonate il 14 agosto. La metà sono turisti ancora all’estero e già preoccupati di prenotare un test al loro rientro. L’altra metà sono richieste di informazioni da chi è già rientrato a casa.

I PIÙ PREOCCUPATI
I più preoccupati? Gli amici dei ragazzi sardi che sono tornati a Roma positivi al Covid-19 dopo una serata in discoteca a Porto Rotondo. «Gli ho stretto la mano, avrò contratto il virus?», chiedono terrorizzati. Allora bisogna eseguire una piccola indagine telefonica e capire quanto tempo sono stati insieme all’amico risultato positivo. Hanno parlato a lungo? Erano in una stanza chiusa? Indossavano i dispositivi di protezione?

IRRESPONSABILITÀ
E poi certo, si assiste a domande davvero bizzarre e preoccupanti, sotto molti punti di vista. «Assistiamo a un clima generale di irresponsabilità: alcuni utenti sanno di essere di positivi ma continuano a svolgere una vita regolare perché hanno solo sintomi simil influenzali e allora si convincono che il Covid non esista», racconta Roscioni.  I ragazzi raccontano che sono stati in discoteca, che si abbracciano, si scambiano le bibite e poi dicono che in quei paesi esteri dove sono stati in vacanza non c’erano misure di contenimento stringenti. «Così ci siamo rilassati». Vuol dire che si sono sentiti liberi di comportarsi come prima del Covid. Ma è un comportamento sbagliato. «Molti ragazzi passano il virus alle famiglie», spiega la dottoressa Roscioni. La Asl interviene anche se la condizione abitativa non consente un corretto isolamento. E poi chiamano tantissimi genitori: «Io ho rinunciati alle vacanze, mio figlio no e sta tornando, che devo fare?». Molti sono persino arrabbiati con l’ordinanza: «Ci avete rovinato la vacanza con questa storia del tampone entro 48 ore».  

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