Riflessioni/Renzi e Agnelli, storie parallele: quel "fuoco" che brucia i rottamatori e le loro riforme

Renzi e Agnelli
Renzi e Agnelli
di Francesco G. GIOFFREDI
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Sabato 24 Aprile 2021, 12:32 - Ultimo aggiornamento: 17:55

L'ascesa, rapida e sfolgorante, da 40enne rampante. I risultati e i successi, restituendo smalto a un marchio storico crollato ai minimi storici. Il successivo salto: la riforma epocale e divisiva, la scommessa della vita per passare alla storia. E poi la caduta, il tonfo rumoroso. Ritagliandosi (involontariamente?) il ruolo del villain perfetto, del nemico pubblico, dell’unico catalizzatore di odio, colpe, rimbrotti (anche populisti) e sfottò. Magari anche ben oltre gli oggettivi demeriti. Più in alto sali senza paracadute, più provi a lambire il sole, più forte e accecante è il crepitio della fiamma in cui bruci. E più finisci tritato nell’eterna caccia al colpevole unico. Rottamare, a quanto pare, logora.

Domanda: di chi stiamo parlando? Di Matteo Renzi o di Andrea Agnelli? Risposta: di entrambi. Traiettorie comuni, stessi errori. E un filo che lega le due vicende pubbliche e attraversa la storia del Paese: il riformismo all’italiana, che non conosce sfumature. E cioè: o è talmente lento, macchinoso, conservativo da non essere semplicemente più riformismo; oppure è così accelerato, irrequieto, confuso da oscurare persino le intenzioni di partenza e le motivazioni di fondo, com’è nel caso dell’ex segretario Pd e del presidente della Juventus. La riforma costituzionale come l’azzardo della SuperLeague: due "all in", tutte le fiches fin lì accumulate e puntate in un solo colpo e rischio, comunicando male, malissimo ciò che andava concepito e presentato meglio. Nel 2016 come nel 2021, il Pd al 40% alle Europee 2014 proprio come i nove scudetti consecutivi: patrimoni preziosi, costruiti con fatica, ma che forse ubriacano e vengono dilapidati in un soffio, nel tentativo di rottamare la “vecchia politica” e l’Uefa imbolsita, e passando alla fine per quelli che vogliono tutelare le élite, i ricchi, in politica e nel calcio. E che questo sia vero o no, qui rileva ormai in parte e ognuno ha la sua idea, arrivati a questo punto delle rispettive storie e del dibattito pubblico.

Renzi e Agnelli sono entrambi del ‘75, può voler dire tutto o nulla. Di certo appartengono a una generazione mediana, non vengono da un mondo “passato” come i genitori, e non sono nemmeno l’enigmatico magma degli under40 italiani sospesi tra incertezze e talento, attese e modernità. Renzi e Agnelli hanno dentro il segno dell’ambizione sfrenata, da tutto e subito. Certo, c’è molto che li distanzia e distingue. Banalmente: il presidente della Juventus è uno degli eredi della principale famiglia del capitalismo italiano. Dettaglio non marginale.
Entrambi hanno fatto, raccolto, realizzato e sbagliato, molto e in poco tempo, a cominciare da scelte, tattica e strategia. E hanno il physique du rôle dei cinici, degli “antipatici”, e perciò dei bersagli ideali e trasversali in un Paese che ormai adora terribilmente il paternalismo, l’apparente prossimità al popolo, il populismo, un certo moralismo. Che sia il Parlamento o un pallone: in Italia in fondo non c’è nulla di più serio del calcio e di più tragicomico della politica.

Pietrangelo Buttafuoco ha scritto che «l’antiagnellismo alla fine non è che la prosecuzione dell’antiberlusconismo in un altro conflitto d’interessi» e che Agnelli «come a suo tempo Berlusconi, è diventato il totem intorno al quale fare i girotondi del ceto medio riflessivo». Ma forse il parallelismo con Renzi regge di più: divertitevi voi a individuare i Boschi, Lotti, Bellanova, Bersani, Speranza del presidente Juve. Badate, che siate renziani, juventini o anti-qualcosa: la metafora, tutta, è un gioco. Di sicuro, le frettolose e goffe fughe dal progetto SuperLeague ricordano tanto gli smarcamenti repentini dal referendum costituzionale e dal renzismo: non c’ero, e se c’ero dormivo, oppure non capivo e comunque scusatemi, vi prego, è colpa di quello lì. Tutti giù dal carro del (ex) vincitore. Renzi e Agnelli ora sono quasi soli sulla nave, col 3% di consensi o senza più un nuovo scudetto e con i conti in disordine, l’uno lontano dal Pd e da Palazzo Chigi e l’altro fuori dall’establishment europeo e aggrappato con due dita alla presidenza bianconera. Ma sempre con quel fuoco lì nel petto, all’ostinata ricerca dell’irraggiungibile sacro Graal, che sia il ritorno in sella al Paese o una coppa europea.

Anche se lì fuori quasi tutti la pensano al contrario.

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