Pensioni, addio Quota 100: per la flessibilità dal 2022 si tratta su Quota 41

Pensioni, addio Quota 100: per la flessibilità dal 2022 ora si tratta su Quota 41
Pensioni, addio Quota 100: per la flessibilità dal 2022 ora si tratta su Quota 41
di Luca Cifoni
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Martedì 27 Aprile 2021, 07:23

Si riapre la trattativa sul dopo Quota 100. Cancellando dal testo finale del piano nazionale di ripresa e resilienza il riferimento al termine della sperimentazione triennale del meccanismo di pensionamento anticipato introdotto nel 2019 (ed alla volontà di sostituirlo solo con misure specifiche per i lavori usuranti) il governo ha rimosso una mina politica su un tema sempre delicato come quello della previdenza. Di fatto il dossier è rinviato a all’autunno, quando con la legge di Bilancio dovrà essere definito l’assetto destinato ad entrare in vigore dal primo gennaio 2022; resta aperta la possibilità di una mediazione sulla cosiddetta Quota 41, che poi a rigore non è una “quota” ma semplicemente la possibilità di lasciare il lavoro con 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Soluzione caldeggiata dalla Lega, forza politica che nel primo governo della legislatura era stata la principale sostenitrice di Quota 100.

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Il tema dei 62 anni

Quel che è certo, anche se nel Pnrr l’esecutivo non ha ritenuto opportuno ribadirlo, è che alla fine di quest’anno verrà meno il canale che tuttora permette di andare in pensione con almeno 62 anni di età e 38 di contribuzione: senza proroghe la norma scade in automatico.

E si pone quindi il problema di cosa fare, visto che per almeno una parte dei potenziali interessati si materializzerebbe uno “scalone” di cinque anni: quelli necessari per arrivare ai 67 della pensione di vecchiaia. Sul punto premono i sindacati, che da mesi chiedono al governo di avviare il confronto almeno con l’effettiva attivazione delle due commissioni tecniche su lavori gravosi e separazione tra previdenza e assistenza. Inciderà in qualche modo sul dibattito anche il fatto che in realtà Quota 100 è stata utilizzata molto meno del previsto: alla fine dello scorso marzo, quindi dopo oltre due anni di applicazione, le domande accolte erano complessivamente 286 mila, più o meno il numero di maggiori pensioni che l’originaria relazione tecnica stimava al termine di un solo anno. Sulla selettività della misura ha inciso probabilmente il requisito contributivo dei 38 anni che risulta difficile da conseguire in particolare per le lavoratrici.

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Le raccomandazioni

Il riferimento - poi rimosso - ad un intervento sostitutivo a favore dei soli lavoratori impegnati in attività gravose evidenziava la volontà del governo di rispondere positivamente alla commissione europea: Bruxelles nelle sue raccomandazioni specifiche per l’Italia ha sempre chiesto di applicare in pieno le precedenti riforme previdenziali e quindi sostanzialmente di tornare alla legge Fornero. Le misure specifiche sui lavori usuranti potrebbero consistere nel potenziamento di quelle attuali (il canale per le lavorazioni “particolarmente faticose e pesanti” e l’Ape sociale per le quindici categorie introdotte nel 2017). Quanto al meccanismo di flessibilità più generale, perde quotalo schema ipotizzato nei mesi scorsi (uscita a 63-64 anni con penalizzazione dell’assegno) mentre potrebbe essere presa in considerazione la cosiddetta Quota 41. Di fatto questa scelta rappresenterebbe un’estensione dell’attuale sistema di pensione anticipata previsto dalla stessa legge Fornero: per l’uscita a prescindere dall’età sono richiesti 41 anni e 10 mesi di contributi alle donne e 42 e 10 mesi agli uomini. Requisiti il cui adeguamento all’aspettativa di vita è sospeso per legge fino al 2026.

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Beneficio per le lavoratrici

Dunque il pensionamento con 41 anni di versamenti avrebbe un’incidenza rilevante ma tutt’altro che gigantesca. In particolare il beneficio sarebbe limitato per le lavoratrici, che già normalmente hanno carriere meno lunghe: anche questo aspetto potrebbe suggerire di prorogare - magari rendendolo stabile - il canale di Opzione donna che ancora per poco permette di maturare il diritto all’uscita a 58 anni (59 per le autonome) e 35 anni di contributi, accettando una pensione ridotta del 15-20 per cento per l’applicazione integrale del calcolo contributivo. Un’altra linea di intervento molto probabile è l’estensione dei prepensionamenti a seguito di accordi aziendali: la soglia per il contratto di espansione, oggi riservato alle imprese con almeno 500 dipendenti (250 in casi particolari) potrebbe scendere ancora.
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