Pensioni più alte dal 2022, aumenti medi di 300 euro (grazie al balzo dell'inflazione)

Il balzo dell’inflazione farà scattare la rivalutazione ferma da due anni

Pensioni più alte dal 2022, aumenti medi di 300 euro: il balzo dell'inflazione fa scattare la rivalutazione
Pensioni più alte dal 2022, aumenti medi di 300 euro: il balzo dell'inflazione fa scattare la rivalutazione
di Francesco Bisozzi
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Sabato 9 Ottobre 2021, 14:33

Pensioni più ricche dal 2022 per effetto dell’inflazione: in arrivo un extra di circa 300 euro l’anno per chi oggi incassa intorno ai 1.500 euro al mese. Gli ultimi aumenti risalgono a due anni fa, ma da gennaio la necessità di compensare l’incremento dei prezzi farà lievitare di circa 4 miliardi la spesa previdenziale. D’altra parte lo Stato ha risparmiato nel 2021, quando le cifre sono rimaste stabili perché l’inflazione era scesa sotto lo zero per cento. Risultato, gli incrementi caleranno nelle tasche dei pensionati dal prossimo gennaio. Ma di quanti soldi parliamo esattamente? Un trattamento “medio” pari appunto a circa 1.500 euro lordi mensili, circa 3 volte il minimo Inps, potrebbe vedere una maggiorazione intorno ai 25 euro al mese, oltre 300 in un anno sempre in termini lordi. La parola chiave è perequazione: la rivalutazione in base all’inflazione riguarderà quasi 23 milioni di assegni previdenziali. Il tasso di inflazione acquisito misurato dall’Istat è già arrivato a settembre all’1,7 per cento e dunque difficilmente scenderà sotto questo livello. Nel 2020, prima dello scoppio della pandemia, gli assegni previdenziali erano aumentati dello 0,5 per cento, mentre quest’anno, come detto, gli importi sono rimasti al palo dal momento che l’inflazione precedente era rimasta in territorio negativo. A ogni modo nel 2022 l’entità dei nuovi cedolini dipenderà dal metodo di perequazione che vorrà adottare il governo. La legge prevede che da gennaio torni operativo il sistema a scaglioni, più vantaggioso per il pensionato perché le decurtazioni del tasso di rivalutazione si applicano solo sulle quote di assegno superiori a certe soglie. Così, in base alla normativa in vigore, il recupero dell’inflazione sarà pieno per la parte di pensione che arriva fino a 4 volte il minimo Inps (ovvero a circa 2.000 euro mensili lordi), al 90 per cento tra 4 e 5 volte il minimo e al 75 per cento oltre questa soglia. Dal 2014 a quest’anno invece è stato applicato un meccanismo con una scaletta più articolata di percentuali (dal 100 per cento scendevano fino al 40 per gli assegni più alti) che soprattutto si applicavano per fasce e non per scaglioni: vuol dire che il pensionato che raggiungeva una certa soglia vedeva decurtata la sua rivalutazione sull’intero trattamento pensionistico e non solo sulla parte eccedente. Come detto, a bocce ferme tornerà lo schema più favorevole, a meno che l’esecutivo decida di cambiare le carte in tavola e ridurre la spesa pensionistica per questa via: scelta che al momento, in un contesto come quello post-pandemia, non pare molto probabile.

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I tagli del passato

L’intervento sulla rivalutazione delle pensioni è stato una costante per molti governi a caccia di risparmi immediati. Quello di Mario Monti congelò per il 2012 e il 2013 l’indicizzazione per tutte le pensioni sopra i 1.500 euro lordi (oltre tre volte il minimo). Ma questa norma drastica fu bocciata retroattivamente dalla Corte costituzionale e i pensionati interessati dal taglio ottennero tre anni dopo un parziale ristoro. Il tempo dell’inflazione sotto zero sembra comunque ormai archiviato. Stando alle previsioni del Fondo monetario internazionale, la crescita dei prezzi proseguirà nei prossimi mesi, per tornare ai livelli pre-pandemici entro metà 2022. L’inflazione annuale nelle economie avanzate, prevede il Fmi, toccherà un picco del 3,6 per cento in media nei mesi finali di quest’anno. 
 

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