La strage di Nizza: le testimonianze dei pugliesi sotto choc: «Dalla festa all’orrore, in un attimo»

La strage di Nizza: le testimonianze dei pugliesi sotto choc: «Dalla festa all’orrore, in un attimo»
di Roberta GRASSI e Giorgia SALICANDRO
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Sabato 16 Luglio 2016, 09:08 - Ultimo aggiornamento: 23 Luglio, 10:23

«Ero a Parigi a novembre, a Nizza giovedì. Ci vivo da sette anni»: le piccole coincidenze, molto spesso, hanno un valore inestimabile. Preziose quanto una vita umana. Il caso ha salvato due volte la vita a Michele Palmieri. Ha 34 anni, è originario di Monopoli e in Francia si occupa di comunicazione: «Il mio telefono ha iniziato a ricevere messaggini, mi chiedevano dove fossi e come stessi. Poi scorrendo Twitter ho iniziato a seguire gli sviluppi, ho capito che ero salvo per miracolo e che sarei comunque dovuto rientrare a Nizza. Tornare a casa è stata un’impresa. Ma non andrò via da qui. Dinanzi al terrore l’unica risposta è non cedere al terrore».
Non è il solo pugliese a vivere in Costa azzurra per lavoro. Mentre si contano i morti e i feriti, quando ancora si cercano italiani dispersi, si intrecciano racconti simili. Ruotano tutti attorno all’attentato del 14 luglio, la ricorrenza della presa della Bastiglia. Il tir impazzito che miete vittime su una passeggiata delle più note al mondo. Popolata di turisti, di una folla festante su cui mai si sarebbe ipotizzato potesse piombare la morte, la violenza. Il terrore.
Ernesto Tarta, originario di Villa Baldassarri, da tre anni e mezzo a Nizza, alle 22.30 si trovava nel ristorante in cui lavora come responsabile del bar, “Felix Faure”, una vecchia brasserie sull'omonima strada che corre nel pieno centro della città. Abbastanza vicina alla Promenade des Anglais da fargli vedere la morte in faccia, scritta negli occhi di decine di persone che a pochi minuti dall'attentato si sono riversate urlando su Aveue Felix Faure.
 
«Abbiamo vissuto l'attentato in presa diretta – racconta al telefono, in una breve pausa dalle chiamate di parenti e amici – c'erano i fuochi d'artificio, a un tratto abbiamo visto strani movimenti, gente che correva in ogni direzione: ci è bastato poco per capire che la festa non c'entrava nulla. Così abbiamo aperto le porte del locale, abbiamo fatto entrare quante più persone possibile e poi ci siamo chiusi dentro. Il momento peggiore, però, è stato quando intorno all'una e trenta di notte sono uscito per tornare a casa. Io abito a non più di tre-quattrocento metri dalla Promenade, ci sono dovuto passare per forza e ho visto con i miei occhi quello che era successo».
Un pugno nello stomaco, per Ernesto, che ci tiene a precisare, il colpo non brucia tanto da offuscargli la vista. «Questo è triste, a prescindere dalle appartenenze nazionali, dalle fazioni politiche e dalle ideologie. Come è triste che si muoia in Siria, a Bagdad, in Iraq, in qualunque parte del mondo» commenta.

E anche la sua vita in città, il giorno dopo l'attentato, per Ernesto torna a venire a patti con una quotidianità a cui non intende rinunciare. «Nizza è una città a dir poco silenziosa oggi, completamente presidiata per strada e dal mare, con incrociatori al largo e motovedette che vanno avanti e indietro ininterrottamente. È chiaro che sia io che la mia compagna siamo scossi, anche perché abbiamo un bimbo di un anno. Terrò gli occhi più aperti, ma il punto è che quanto accaduto al Bataclan o ieri sulla Promenade può accadere in ogni parte del mondo. Per cui questa sera vado a lavorare. Del resto il mio ristorante resta aperto: la filosofia qui è andare avanti».
C’è Maria Picicci, 32 anni di Acquaviva delle Fonti. Insegna italiano in un liceo a Nizza, ma è in ferie ed è tornata a casa, in Puglia: «Se fossi stata lì, sarei andata sulla promenade, come sempre». La giovane prof della provincia di Bari è ancora sotto choc, provata dalle immagini che ha visto in tv e non dal vivo. Ma che ritraggono la sua città adottiva. Quella in cui abita, si sveglia, lavora, passeggia ogni santo giorno della sua vita. La città in cui ci sono i suoi amici, alcuni dei quali sono italiani.

«Siamo rimasti in contatto - racconta - ho saputo che alcuni fra i miei amici erano proprio a due passi dal terrore. Stavano pranzando al ristorante Portovenere, vicino alla zona pedonale di Nizza quando un'orda di gente spaventata ha travolto la gente seduta alle terrazze dei ristoranti della via Halévy. Ce n’era uno che aveva un piede ferito, sanguinava. Sono stati travolti, chiedevano aiuto, cercavano rifugio. Mi hanno narrato scene davvero scioccanti”.
Qualcuno, fra i sopravvissuti, era proprio lì. Ed è scampato al peggio solo perché il destino ha voluto così: una manciata di metri di distanza dalla corsa folle dell’autoarticolato entrato nella zona centralissima e superaffollata con uno stratagemma la cui banalità fa ancora più impressione. L’attentatore avrebbe dichiarato, per passare, di essere un mezzo carico di gelati da consegnare ai locali della zona.

«Ho visto passare il camion a un solo metro da me mentre travolgeva tutto come fossero birilli: uomini, donne, bambini, bancarelle: sembrava un incubo, non riuscivo a muovermi». La testimonianza è di Maurizio Ventura, 60 anni, pensionato italiano che da due anni vive nella città che dista appena quaranta chilometri da Ventimiglia. Maurizio, come tante migliaia di persone, nel momento dell'attacco del camion, era sul lungomare e aveva appena assistito allo spettacolo dei fuochi pirotecnici che chiudevano la festa Nazionale francese. Per rispondere a un messaggino della compagna si è seduto su una delle tipiche panchine blu della promenade e da lì ha assistito all'incredibile. «Il camion sembrava che barcollasse, ma lo faceva per colpire quanta più gente poteva.
Nel novero dei pugliesi che per un soffio hanno evitato il coinvolgimento nella carneficina di Nizza c’è poi Davide Bozza, un informatico di Laterza che risiede ad Antibes, non molto distante: «Sono a casa, fino a fine luglio. Sono andato a letto presto giovedì. Ho appreso dell’accaduto ieri mattina. Poi ho parlato con alcuni amici cari. Erano in auto, percorrevano la parallela del lungomare. Hanno visto la gente fuggire. C’era chi dava i calci alle porte delle abitazioni chiedendo rifugio. Qualcosa di incredibile».

Le informazioni per chi si trovava a due passi dall’inferno erano inizialmente frammentarie. Dai social si apprendevano gli sviluppi, attraverso i profili ufficiali. Ma, comprensibilmente, a causa del panico che si era diffuso ormai in ogni angolo di Nizza, circolavano anche informazioni non verificate. Si è pensato immediatamente a un assalto di matrice terroristica, attribuibile all’Isis o comunque al fondamentalismo islamico. Qualcuno sosteneva che vi fossero altri commandi asserragliati in posti diversi. Il panico si è placato a tarda ora. Sono rimasti i corpi. Il sangue. Le foto del massacro sugli schermi degli smartphone: le stesse, in tutto il mondo.

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