Agguato a Roma, ucciso in un parco capo ultrà laziale

Agguato a Roma, ucciso in un parco capo ultrà laziale
Agguato a Roma, ucciso in un parco capo ultrà laziale
di Marco De Risi Alessia Marani
5 Minuti di Lettura
Giovedì 8 Agosto 2019, 01:03 - Ultimo aggiornamento: 16:33

Una trappola. Attirato a un appuntamento a cui è andato accompagnato dall’autista. Perché lui, Fabrizio Piscitelli, 53 anni, alias Diabolik, storico capo ultras degli Irriducibili della Lazio, non aveva più la patente, gliel’avevano ritirata. Quasi mai girava solo, aveva sempre un guardaspalle. Anche ieri. È andato al Parco degli Acquedotti, a Cinecittà, quartiere che lui conosceva bene perché era nato e cresciuto non lontano prima di trasferirsi nella villa di Grottaferrata, vestito con una maglia chiara e calzoncini scuri corti come uno dei tanti romani in cerca di fresco tra i pini nei caldi giorni prima di Ferragosto, seduto su una panchina. Invece, intorno alle 19, un uomo col volto parzialmente travisato con un foulard e un caschetto, vestito come un runner, lo ha sorpreso da dietro e gli ha sparato a bruciapelo un colpo di 765 che gli ha trafitto l’orecchio sinistro. Diabolik è piombato a terra, tra i tanti gruppi che facevano jogging e le famigliole. 

Roma, morto Diabolik: chi era l'ultrà laziale

Ucciso Diabolik, ultrà laziale. Il testimone: «Ho visto fuggire il killer»
 





I TESTIMONI
Una signora e un ragazzo raccontano: «Abbiamo visto fuggire via un tipo con una maglietta verde verso via Tito Labieno». Chi ha sentito lo sparo, ha pensato «a un petardo, non ci siamo spaventati». Gli inquirenti hanno pochi dubbi: le modalità parlano chiaramente di un regolamento di conti propri della malavita piuttosto che del mondo del calcio. Perché certi agguati non sono in stile ultras. Piuttosto le ragioni vanno cercate su altri campi, nei meandri del business della droga anzitutto. Nel 2013 Diabolik finì in carcere per narcotraffico con un gruppo risultato legato alla Camorra di Michele Senese “o’ pazzo”, a sua volta legato ai “napoletani della Tuscolana” che sulla piazza di Cinecittà e dintorni, negli anni, hanno importato coca e hashish in quantità industriali. Sarà un caso, ma nelle ultime operazioni antidroga a finire dietro le sbarre sono pezzi di rango della Nord, anche loro impiantati sull’asse tra la Tuscolana e i Castelli Romani, con deviazioni a San Basilio, e che fanno affari non solo con le bande criminali cresciute all’Ombra del Cupolone - sempre col benestare delle mafie tradizionali - ma anche con “cavalli” emergenti albanesi, sempre più spregiudicati e pronti ad alzare la cresta. C’è un amico della Nord, Kolaj Orial alias “il pugile”, in combutta con i Casalesi impiantati tra Ostia e l’Eur.

Sull’omicidio di Piscitelli indaga la Squadra Mobile capitolina diretta da Luigi Silipo e ad affiancare la Procura ci sono anche i magistrati della Direzione distrettuale antimafia. Perché Diabolik a Roma vuole dire tante cose, non da ultimo il business del merchandising che fa gola a molti. Chi ha agito lo ha fatto da professionista. Si è portato dietro un’arma piccola, che poteva nascondere, di solito usata anche per gli agguati “chirurgici” delle ‘ndrine calabresi. Si è poi allontanato allungando il passo e mimetizzandosi tra gli sportivi. Gli investigatori stanno ascoltando diversi testimoni e acquisendo le immagini delle telecamere nella zona. Nel parco non ci sono, ma dai palazzi residenziali di via Lemonia che affacciano sul punto del parco dove l’ultrà è stato ucciso, una telecamera al civico 256 potrebbe avere ripreso la fuga del killer. 

LA MOGLIE
Tra i primi ad accorrere è stata la moglie Giorgia, capelli lunghi, bionda. Disperata, si è avvicinata al corpo del marito. «Sembra che dorma», ha detto. Poi in lacrime, ha raccontato che «nell’ultimo periodo mi sembrava strano, più nervoso, ma forse è stata solo una mia sensazione, come se me lo sentissi». Proprio di recente, a luglio, Diabolik aveva accompagnato la figlia all’altare nella chiesa dell’Ara Coeli; alla cerimonia avevano partecipato big della “vecchia” guardia, non tanto quella di Lotito contro cui spesso gli Irriducibili sono arrivati ai ferri corti. Diabolik non aveva un soprannome a caso. Chi lo conosce bene parla di lui come di una «mente sopraffina». Uno che non faceva mai nulla con leggerezza e che calcolava al massimo il suo interesse. Generoso con i suoi, ma spietato se gli saltava la mosca al naso. Soprattutto, così scaltro tanto da dribblare i mille occhi addosso che gli mettevano quasi tutte le polizie.

Era stato sorvegliato speciale, ma attualmente aveva il Daspo e l’obbligo di firmare nei giorni della partite della Lazio. A maggio una bomba carta aveva danneggiato la sede degli Irriducibili in via Amulio, sempre zona Tuscolana. In quell’occasione, Diabolik disse: «Avere paura? Mai». Nel 2013 in un parco non distante da quello di ieri, alla Caffarella, gambizzarono l’amico e sodale biancazzurro Fabrizio Toffolo. Ad aprile, sempre a Cinecittà, ancora spari alle gambe a due spacciatori. Ultimamente la sua Nord, sempre ultracompatta, aveva mostrato qualche mal di pancia, con l’annuncio del ritiro dello striscione degli Irriducibili. Ieri, appena la notizia della sua morte ha cominciato a girare, in via Lemonia si sono riuniti gli amici più cari, i volti più noti della Curva e semplici tifosi. Non sono mancati momenti di tensione anche quando è arrivato il fratello che, in preda al dolore e alla rabbia, ha oltrepassato lo sbarramento dell’area imposto dalla polizia. La figlia ha urlato: «Alle spalle, infami».

© RIPRODUZIONE RISERVATA