Messina Denaro, il boss che faceva le vacanze. La lista dei covi a Campobello, uno al mare. Le “libertà” dopo il tumore

L’ex latitante al suo autista prima dell’arresto: «Cercano me, è finita»

Messina Denaro, il boss che faceva le vacanze
Messina Denaro, il boss che faceva le vacanze
di Nicola Pinna e Riccardo Lo Verso
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Sabato 21 Gennaio 2023, 07:49 - Ultimo aggiornamento: 9 Aprile, 23:22

CAMPOBELLO DI MAZARA - In via Selinunte fingono di vivere come in una grande città: «Se in cucina finiamo il sale mica andiamo a chiederlo al vicino». Sì, in questa strada il traffico è quasi continuo e c'è un viavai di gente che si ferma per le compere, ma raccontare che nessuno conosce chi abita accanto o di fronte non è convincente. «Invece - dice Vito, un sessantenne che fa il bidello in una scuola della cittadina - è tutto vero, io neanche saluto alcune delle persone che sono residenti a pochi metri da casa mia. Ora che vedo i carabinieri che stanno perquisendo questa palazzina posso dire che neanche sapevo chi fosse il titolare. Non conosco le loro abitudini, non posso sapere se ospitano un latitante».

Messina Denaro, il bar dove prendeva il caffè. «Quando entrava stavano tutti zitti»

Il boss che faceva le vacanze

Nel paese-rifugio, dove Matteo Messina Denaro giocava il suo monopoli della latitanza, c'è un reticolato di covi e luoghi di misteri che si allarga ogni giorno di più.

I primi erano vicini tra loro, ma ora i punti di questa ragnatela dell'illegalità cominciano ad allargarsi. Le tappe di questa specie di caccia al tesoro, che finora però il vero tesoro non ha consentito di ritrovarlo, sono le perquisizioni. Dal centro decadente della cittadina si arriva fino al mare, in una borgata sferzata dalle raffiche di vento e devastata da molti anni di incuria.


LA PAURA DELLA MALATTIA
Matteo Messina Denaro amava un po' la bella vita e da quando aveva scoperto di dover fare i conti con un tumore, temeva più la malattia delle manette. E si è giocato tutto, dicono i carabinieri che hanno studiato movimenti, segreti e strategie. Si circondava di donne e spendeva tanti soldi in ristorante e probabilmente ha trascorso qualche periodo al mare, di fronte alla baia di Torretta Granitola, dove i pescatori sono rimasti in pochi e dove nei giorni di piatta arrivano i barchini dei migranti. Nel deserto dell'inverno gelido, in tarda mattinata inizia un certo traffico: arriva un'auto bianca, scendono tre carabinieri incappucciati. Gli uomini del Ros hanno una missione specifica: entrare in un'altra delle case su cui ora si concentrano i sospetti, in via Del Faro. Appartiene a un ex avvocato di Campobello, già coinvolto in un'indagine di mafia e radiato dall'Ordine. In quella casa, sospettano gli investigatori, Matteo Messina Denaro potrebbe aver trascorso un periodo di ferie: una parentesi di sole e magari tintarella nella lunghissima vita da fantasma.


Che l'ex avvocato Antonio Messina possa aver concesso ospitalità o supporto logistico all'ex imperatore della malavita siciliana è un sospetto che si rafforza: non solo per i trascorsi dei due, finiti al centro di fascicoli precedenti, ma anche perché nello stesso momento i Cacciatori di Sicilia e altri uomini del Ros entrano in un'altra casa che appartiene allo stesso legale. A un certo punto arriva la figlia, consegna un'auto e forse anche lì ci sono da fare indagini tecnologiche e biologiche. Si cercano tunnel e stanze nascoste, ma i carabinieri portano via un malloppo di documenti che potrebbe essere molto utile nei prossimi giorni. Perché con la fine della latitanza non c'è da scoprire solo dove ha vissuto, ma soprattutto dove ha sotterrato i segreti e il patrimonio, come ha costruito la rete degli affari e con chi li ha fatti.

 


Nella case-rifugio che erano già finite sotto l'attenzione degli investigatori, primi pallini rossi sulla mappa di un paese-covo, le indagini proseguono. Ci lavorano i biologi del Ris e la polizia fa arrivare anche un georadar, che potrebbe svelare intercapedini o cunicoli abilmente coperti e nascosti. Dall'appartamento acquistato da Matteo Messina Denaro sfruttando il nome di Andrea Bonafede vengono fuori altre stranezze che raccontano il carattere del sanguinario, a iniziare da una foto di Joker appesa accanto a una massima che ora non si addice più a Matteo Messina Denaro: «C'è sempre una via d'uscita ma se non la trovi sfonda tutto».


L'OLIVARO
L'altro che almeno per ora non può sfondare le sbarre della cella è Giovanni Luppino, l'autista dell'ex primula rossa. «Custode di segreti e prove che farebbe certamente sparire se lasciato libero», scrive di lui il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Palermo, che lo definisce accorto, pericoloso e pronto a negare l'evidenza. Su quel che è successo il giorno in cui è stato arrestato assieme al padrino, mentre erano in macchina all'esterno della clinica La Maddalena, ha mentito su tutta la linea. «È finita», gli ha detto Messina Denaro quando i carabinieri del Ros li hanno accerchiati. Luppino ha raccontato al giudice di avere conosciuto Messina Denaro sei mesi prima. Un solo incontro, veloce, in cui Andrea Bonafede, l'uomo a cui era intestata la carta d'identità del latitante e suo idraulico di fiducia, glielo presentò come il cognato Francesco e che chiese al raccoglitore di olive di accompagnarlo a Palermo per iniziare il ciclo di chemioterapia. Già questo basterebbe per tenerlo in carcere, ma c'è di più. Luppino ha spento i due telefonini che aveva addosso, dopo averli messi in modalità aereo, per evitare «la mappatura degli spostamenti». Nel momento in cui è stato fermato aveva anche un coltello a serramanico di 18,5 centimetri. Nel portafogli conservava una «lunghissima serie di biglietti e fogli manoscritti con numeri di telefono, nominativi e appunti di vario genere, dal contenuto oscuro e di estremo interesse investigativo che potrebbero schiudere lo sguardo a nuovi scenari». Proprio quelli che ancora mancano.
 

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