Lungo la Via Francigena/ Tra ulivi e ipogei gli affreschi di Teofilatto

Lungo la Via Francigena/ Tra ulivi e ipogei gli affreschi di Teofilatto
di Luigi del PRETE
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Venerdì 13 Ottobre 2017, 19:34
Riparto da Lecce. Prime luci del giorno. Piove. Tentenno ma decido di mettermi ugualmente in viaggio. Fa parte della scelta di iniziare un cammino. Accettare il buono e il cattivo tempo. È anche un modo per sfidare i propri limiti. Camminare ogni giorno verso la meta è l’unica rigida regola di ogni pellegrinaggio. Si impara anche da questo a non lasciarsi contrariare da nulla. La docilità agli eventi.
Mi lascio la città alle spalle mentre la campagna lentamente si definisce all’orizzonte sfuggendo alla furia edilizia. Smette di piovere finalmente. Mi libero dalla cappa impermeabile, il copri-zaino, il copri pantalone, e gli occhiali da motociclista. Sono necessari anche loro. Se si cammina controvento durante la pioggia altrimenti non si riescono a tenere gli occhi aperti.
Avanzo verso Caprarica, dove in una piazza semi deserta faccio la prima pausa. Una vecchia maiolica sul muro della torre dell’Orologio sopporta solo l’indicazione “Piazza”, senza nomi dedicatori o toponomastici. Tanto basta qui. Non servono fronzoli.
Proseguo verso Calimera e Martano. Il paesaggio si fa gradualmente più bello, sempre meno urbanizzato, sempre meno intensamente saccheggiato. Ma della Traiana nessuna traccia. Sommersa da secoli di lavori agricoli, costruzioni, asfalto. Cancellata per sempre. Eppure l’itinerario che seguo è il suo. Riemerge all’improvviso solo tra Martano e Carpignano per un tratto lungo e bello. Intatta. Segnata da profondissimi solchi scavati dai tanti, tantissimi carri che la hanno percorsa per secoli. Ci son passati eserciti, regnanti, navigatori, commercianti, monaci, ecclesiastici di ogni rango, intellettuali, pellegrini, disperati, avventurieri, santi, criminali.
La via diveniva luogo di incontro, di scambio di informazioni tra chi arrivava e chi partiva. Scambi di affari o di idee. Ma di tutto ciò al tempo non importa nulla.
Percorso questo breve tratto dell’antica strada ci si trova di fronte alle rovine dell’antica chiesa medievale dei santi Cosimo e Damiano. Un tempo alle dipendenze di San Nicola di Casole a Otranto. A sua volta alle dipendenze di Costantinopoli. Perché qui nel periodo bizantino la capitale non era Roma, nonostante gli sforzi di Traiano. Ma Costantinopoli. Qui si parlava in greco.
Proprio a Carpignano sopravvive una delle testimonianze più interessanti della cultura bizantina in Puglia. La cripta dedicata a Santa Cristina. Importanti ed evocativi gli affreschi che si conservano. Opere che vanno dal IX all’ XI secolo. Ancora più importanti le iscrizioni dedicatorie. Un luogo ipogeo dove si percepisce una spiritualità densa e raccolta. La cripta è stata ininterrottamente usata come luogo di culto. Ha assistito alla soppressione brutale del rito greco, mantenendo però intatta devozione di popolo e rispetto da parte del clero latino. Splendida conclusione di questa terza tappa. Mi riposo tra gli affreschi eseguiti da Teofilatto, uno dei pittori autografi. Tanto orgoglioso della sua opera da segnare anche la data: maggio 959. Incaricato da Leone Presbitero e sua moglie Crisolea. Sempre un maggio, ma del 1020 Eustazio firma la sua opera, e Costantino la sua, commissionata da Pankizes nel 1054. Occhi intensi che ci guardano da un tempo lontanissimo. Solenni. Saggi.
In un angolo c’è la sepoltura di Stratigulis, morto giovane. Suo padre ne volle immortalare la memoria in dodecasillabi bizantini. La più antica iscrizione funeraria in dodecasillabi tramandata a noi nell’ intero bacino del Mediterraneo. Qui, a Carpignano. “Qui giace il dolce Stratigulis mio carissimo figlio. Amato soprattutto dal padre dalla madre, dagli amici, dai parenti e dai compagni di scuola. Benefattore generoso degli schiavi. Come un passerotto è sfuggito dalle nostre mani e ha riempito di dolore il padre la madre i cugini e tutti gli amici”.
Volle farsi seppellire nella stessa tomba anche il padre. E volle essere ricordato facendo scrivere: “ho abbellito queste pareti con queste nuove immagini e ho scavato qui la tomba e il sepolcro per questo mio corpo plasmato di fango. Riguardo al nome, forse chiedersi chi è e da dove viene questo mortale. Magisano è il mio nome. Sono uno spatario onesto di costumi, abito a Carpignano e sono servo di Cristo e di questi santi”.Le due sepolture vanno dal 1055 al 1075. Ci tramandano intatti sentimenti e scorci di vita di un mondo da cui proveniamo, ma a cui il tempo ha tolto voce. Grazie a Magisano, alla sua sensibilità una traccia è rimasta. Una traccia di quell’amore con cui vale la pena vivere. Ieri come oggi.
Queste parole lontane chiudono la mia giornata. Lasciandomi in dono la pacatezza di Magisano di fronte al destino. Vado col pensiero ai miei tanti momenti in cui avrei voluto avere la sua saggezza distaccata. Su questo rifletterò domani.
Ogni cammino è costellato di spunti e circostanze da cui imparare. Ogni cammino serve soprattutto a questo. A comprendere, a capire, a capirsi. È per questo che sulla cattedrale di Santiago l’Alfa e l’Omega sono invertite. A suggerire che si parte ottenebrati per terminare approdando ad una nuova luce. È questo forse il senso più profondo di ciò che più o meno consapevolmente accade dopo aver raggiunto la meta. In ogni cammino piccolo o grande che sia.
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