Italia in guerra, ecco il piano: prima il sistema logistico, poi i blindati

L’organizzazione della difesa per un possibile aggravamento della crisi: dall'artiglieria alla contraerea

Italia in guerra, ecco il piano: prima il sistema logistico, poi i blindati
Italia in guerra, ecco il piano: prima il sistema logistico, poi i blindati
di Nicola Pinna
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Lunedì 21 Marzo 2022, 07:57 - Ultimo aggiornamento: 18:11

I primi a scendere in campo non saranno quelli che combattono. I fanti di artiglieria potranno arrivare in un secondo momento. Perché le prime azioni si devono sempre concentrare sulla “logistica”. È una regola da non trascurare mai. Se la situazione bellica dovesse improvvisamente degenerare, la priorità per le forze armate deve essere quella di organizzare i campi-base: l’assistenza, le cucine, le tende, i luoghi in cui vivere e in cui far arrivare i rifornimenti. La lezione l’hanno data al mondo gli inspiegabili errori di Putin, che prima di iniziare la folle guerra in Ucraina ha pensato solo ad ammassare le truppe al confine. Dimenticando, quindi, l’aspetto più importante: l’assistenza. E il risultato è sotto gli occhi di tutti da settimane: i convogli non sono in grado di avanzare, le formazioni belliche si stanno sfaldando e i soldati che muoiono di fame vanno a fare razzia di cibo tra le case, i pollai di campagna e i negozi. 

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Il piano

Anche l’Italia fa i conti con la realtà. Anzi, cerca di anticiparla. Al Ministero della Difesa nessuno lo può dire apertamente, ma un piano organizzativo per un conflitto nei cassetti dei generali c’è. Certo, la strategia deve essere legata allo scenario reale, ma un’idea su come organizzare un ipotetico (e non auspicato) coinvolgimento della Nato nella guerra in Ucraina gli ufficiali dello Stato maggiore se la sono fatta da settimane. Se al primo posto di questo piano c’è il capitolo logistica, al secondo non può che esserci la difesa dei convogli che dovranno arrivare nelle zone in cui potrebbe essere necessario dislocare le truppe, far arrivare i mezzi corazzati e piazzare gli armamenti. A questo punto non basta la perfetta organizzazione: è necessario proteggere con le armi le spedizioni.

Su tutti i fronti, prima di tutto dal cielo ma anche dal mare. «Per fare questo abbiamo a disposizione i potenti mezzi dell’Aeronautica, che è una delle più avanzate del mondo – racconta un ufficiale dello Stato maggiore – Siamo in grado di utilizzare gli ultimi eurofighter e anche i modernissimi F35». Nell’avanzata dei convogli logistici, sottolineano i colonnelli, sarà necessario anche impiegare l’artiglieria da controcarro dell’Esercito, che ha a disposizione la contraerea Samp/T capace di intercettare missili balistici e da crociera.

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L’altra mobilitazione dovrà essere via mare. E la Marina non teme confronti con le forze di altri stati, men che meno con la Russia. Il fiore all’occhiello è la portaerei Cavour, ma già schierate nel Mediterraneo ci sono le fregate Frem, con il sistema antimissile (e antisommergibile) più temuto del mondo. Pronti, costantemente addestrati, sono gli equipaggi dei due cacciatorpedinieri, anche questi considerati al top della tecnologia bellica. «Non hanno missili da crociera a bordo, le navi della marina italiana - spiega uno degli ammiragli che meglio conosce la flotta – È stata una scelta politica e strategica precisa, che ora non è il momento di discutere. Di buono c’è che le nostre navi questi missili sono in grado di intercettarli». 

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I combattimenti

Nell’avanzata via terra l’Italia rischia di arrancare. Almeno negli scenari con combattimenti sulle lunghe distanze. I mezzi di cui l’Esercito è più dotato sono prevalentemente i famosi Lince e i Freccia, due blindati medi e leggeri, adatti soprattutto per i combattimenti in ambienti ristretti. Per il cosiddetto “fuoco di supporto” le forze armate hanno a disposizione i micidiali Pzh2000, obici semoventi considerati dirompenti e capaci di colpire anche a grandissima distanza. «Per farli funzionare è necessaria una buona logistica – sottolinea il generale che queste strategie le analizza quotidianamente – Le granate sono tante e molto pesanti, per cui serve allestire una rete di supporto a chi affronta i combattimenti». Sulle unità corazzate, la cura dimagrante degli investimenti, si è fatta sentire maggiormente. E non a caso ai vari reggimenti dell’Esercito, che in questi anni hanno svolto prevalentemente azioni di peacekeeping, sono rimasti poco più di cento carri armati Ariete. Cannone molto buono, capace – dicono gli esperti – di perforare tutto ciò che hanno in dotazione gli affamati militari russi. Il capitolo uomini in campo prevede la valutazione attenta dello scenario, ovviamente per limitare i rischi per i soldati in prima linea. 

I reparti da schierare

Alpini, bersaglieri e paracadutisti sarebbero i primi a ricevere la chiamata. E una ragione precisa c’è: «Sono molto specializzati e sono in grado di affrontare combattimenti nei centri abitati, nei luoghi complessi, come boschi o montagne, cioè in un contesto come quello che stiamo vedendo in questi giorni nelle varie regioni dell’Ucraina». Un ruolo a sé è quello destinato alle forze speciali, di cui la Difesa italiana è ricca: dal 9° Reggimento Col Moschin al 185° Reggimento “Ricognizione e acquisizione obiettivi”, fino agli alpini del 4° Reggimento. A loro il compito di infiltrarsi per raggiungere gli obiettivi da colpire e guidare dalla prima linea gli attacchi organizzati a distanza. «I Gps sono facilmente disturbarbili, per cui è necessario che sul terreno ci sia qualcuno in grado di creare un varco e dare istruzioni a chi fa scattare gli attacchi a distanza – spiega un altro ufficiale del Ministero della Difesa – Questa è un’attività specifica che da noi viene definita di Isr, cioè “Intelligence, surveillance and reconnaissance”. Tutto un lavoro che siamo in grado di svolgere con il supporto dei droni Predator». E con l’aiuto di altre forze speciali: come i paracadutisti della Folgore e i Lagunari, specializzati nell’arrivare dal cielo e abilissimi a muoversi in ambienti al limite della sopravvivenza. 

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