Iran-Usa, un secolo difficile tra alleanze e colpi di Stato

Iran-Usa, un secolo difficile tra alleanze e colpi di Stato
di Eric Salerno
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Mercoledì 15 Luglio 2015, 00:31 - Ultimo aggiornamento: 00:33
L’abisso era buio profondo e per uscirne (e anche risolvere la questione nucleare), Barack Obama, appena insediato alla Casa Bianca, cominciò la difficile scalata partendo dall’aula magna dell’Università del Cairo. Era il 4 giugno 2009. Parlò delle colpe, degli errori della politica americana in Medio Oriente e dintorni. La “primavera araba” imperversava ma lui ammiccava sopratutto all’Iran.



«Nel pieno della guerra fredda gli Stati Uniti svolsero un ruolo nel rovesciamento di un governo iraniano democraticamente eletto». Parlò di «rapporto tumultuoso», dovuto, disse, anche al fatto che Washington aveva appoggiato l’Iraq e Saddam Hussein contro Teheran. «Decenni di sfiducia reciproca», ammise più tardi, non scompariranno in un lampo. Forse, aggiunse in aprile parlando con un giornalista del New York Times, «non sarà facile stabilire un rapporto nuovo». Per molti a Teheran, l’America è ancora il Grande Satana.







COLONIALISMO E PETROLIO

Colonialismo, neo-colonialismo, il “pericolo comunista” e un mare di petrolio pesano sulla storia moderna delle relazioni tra l’antica Persia, oggi Repubblica islamica dell’Iran, e il resto del mondo. Negli anni dell’espansionismo britannico e russo (fine Ottocento), l’America fu considerata affidabile dai regnanti a Teheran. Ne venne fuori un’alleanza che superò le difficoltà della Seconda Guerra mondiale per diventare più salda quando la Cia e il britannico MI6 organizzarono insieme un golpe contro il premier Mohammad Mossadeq. L’obiettivo di Londra era impedire la nazionalizzazione del petrolio. Washington temeva che il potente partito comunista iraniano, il Tudeh, potesse assumere il controllo del paese, strategicamente importante, e portarla nell’orbita sovietica.



IL GOLPE

Il primo tentativo fallì e lo Scià fu costretto a scappare in Italia. Pochi mesi dopo, i servizi segreti e i militari riuscirono nel loro intento. Mossadeq fuori; Mohammad Reza Pahlavi, Shahanshah (Re dei Re, Imperatore), figlio di una moderna dinastia, a capo di un regime sempre più repressivo. Crescevano le proteste del potente clero contrario alle riforme e degli ambienti più democratici e liberali ai quali non piaceva l’“occidentalizzazione” dell’Iran. L’imperatore «illuminato», come amava farsi definire, trovò sostegno nelle alleanze tipiche di quegli anni di contrapposizione tra Est e Ovest. I temuti servizi segreti (Savak) operarono in parallelo con la Cia, con i torturatori del regime apartheid sudafricano e con il Mossad israeliano, lo stesso che è oggi all’avanguardia nella lotta clandestina contro il nucleare iraniano.



LA RIVOLTA

Fu la rivolta contro l’imperatore, che colse alla sprovvista i servizi segreti occidentali, e l’avvento dell’ayatollah Khomeini, a portare a un totale rimescolamento delle carte. Nel gennaio 1979, lo scià malato terminale di cancro abbandonò il paese. Dieci mesi dopo, a novembre, i rapporti tra Iran e Stati Uniti raggiunsero l’abisso. Studenti universitari, istigati da Khomeini, occuparono l’ambasciata americana a Teheran e presero in ostaggio diplomatici, impiegati e funzionari tra cui numerosi agenti della Cia.



Minacciavano di ucciderli se Washington non avesse estradato il monarca. L’ospite è sacro, disse l’allora presidente Jimmy Carter rispondendo picche e ordinando un’operazione militare con aerei e forze speciali per cercare di liberare gli ostaggi. L’azione fallì miseramente e gli ostaggi dovettero aspettare l’insediamento di Ronald Reagan per poter tornare a casa. Dopo 444 giorni di “prigionia”.



RETORICA E ARMI

Il 7 aprile 1980, gli Stati Uniti ruppero le relazioni diplomatiche con Teheran. Gli anni che seguirono furono densi di scontri diretti e indiretti. Retorica e armi vere. Gli Usa aiutarono l’Iraq a combattere l’Iran ma non a vincere la guerra per paura di un assetto poco controllabile della regione. Teheran reagì tramite le milizie sciite di Hezbollah in Libano che distrussero l’ambasciata Usa a Beirut e la base dei Marines (parte di una forza di pace) in Libano.



SULL’ORLO DELLA GUERRA

Proteste e recriminazioni si susseguirono ma mai come nel 1988 i due paesi sembravano sull’orlo della guerra. Washington lanciò un’operazione per garantire il traffico marittimo nel Golfo persico (o arabico) e, tra le altre cose, un missile lanciato da un incrociatore Usa centrò un airbus iraniano in volo di linea su territorio iraniano. Morirono 290 civili (di sei nazioni) ma Washington non chiese mai scusa.



SANZIONI E ATTACCHI

Sanzioni americane e attacchi verbali si rafforzarono sotto la presidenza Clinton. Bush coniò il termine “asse del male” per accomunare Iran, Iraq (da alleato diventato improvvisamente nemico mortale) e Corea del Nord. Dopo un’apparente apertura, la retorica aumentò con Ahmadinejad alla presidenza dell’Iran. Laico, estremo, da una parte offrì agli Usa un dialogo, dall’altra si lanciò a testa bassa contro Israele («piccola Satana»), massimo alleato Usa con frasi e minacce che sapevano non soltanto di critica alla politica israeliana ma di antisemitismo. Parole preoccupanti: c’è ancora in Iran una importante comunità ebraica. E c’è chi ricorda, a Tel Aviv, come negli anni dell’alleanza Iran-Israele, Shimon Peres stava per trasferire allo Scià la tecnologia per costruire una centrale nucleare.



L’AYATOLLAH E LA MONARCHIA

La regione è cambiata molto in questi ultimi quaranta anni. L’Iran sciita e il mondo arabo sunnita non si sono mai amati e la situazione è andata deteriorandosi con la Rivoluzione islamica. Per Khomeini, la monarchia era incompatibile con l’Islam. Nemico lo Scià, dunque, ma anche i regnanti dei paesi del Golfo, in primo luogo l’Arabia saudita, alleato strategico degli Usa. Per loro, lo sdoganamento dell’Iran, nazione vera tra tanti stati disegnati dal colonialismo europeo, significa ripensare vecchie alleanze e strategie.
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