Iran, con la fine delle sanzioni il prezzo del petrolio potrebbe dimezzarsi

Un impianto di produzione del gas in Iran
Un impianto di produzione del gas in Iran
di Azzurra Meringolo
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Venerdì 3 Aprile 2015, 19:23 - Ultimo aggiornamento: 19:27
Malgrado la crisi in Libia, la guerra in Iraq e in Siria, i conflitti in Yemen e lo scontro tra Russia e Ucraina, da mesi i prezzi del petrolio continuano a scendere.



Il crollo è stato così forte che con i 100-120 dollari con i quali prima si acquistava un barile di greggio, oggi se ne comprano due. Vista la ricchezza del sottosuolo iraniano, è oggi lecito chiedersi come l’accordo sul nucleare iraniano potrà influenzare il prezzo del barile.



«Un primo segnale si è già visto ieri, quando il prezzo del Brent è sceso del 4% e quello del Wti del 2%. Certo, non si è scatenato ancora nulla di grosso e questo non accadrà almeno fino al 30 giugno (data entro la quale Iran e 5+1 dovrebbero arrivare a un accordo definitivo, ndr). Ma qualora l’accordo diventasse reale, il prezzo del petrolio continuerebbe a crollare, forse anche più velocemente di quanto avvenuto fino ad ora» spiega Nicolò Sartori, senior fellow e coordinatore del progetto energia dell’Istituto Affari Internazionali.



Fino ad oggi, diversi fattori hanno fomentato questa tendenza al ribasso. Se da una parte la domanda è depressa a causa della crisi economica e dalla maggior efficienza delle industrie europee e giapponesi, dall’altra l’offerta non cala perché un produttore così importante come l’Arabia Saudita ha deciso di non tagliare la produzione. Dai ieri si sa inoltre che qualora tutto filasse liscio, a breve l’Iran potrà mettere sul mercato il petrolio che da anni produce, ma non riesce a fare circolare a causa delle sanzioni. Questo farebbe crescere l’offerta, abbassando ulteriormente i prezzi.



«Attualmente, in Iran sono fermi 800 – 900 milioni di barili di greggio. Se domani dovessero togliere le sanzioni, anche senza dover produrre nulla, questi barili sarebbero pronti ad andare sul mercato. È un quantitativo massiccio che potrà avere un grande impatto. In passato i prezzi si sono contratti per quantità molto minori». Ai barili che l’Iran ha tenuto fino ad ora in magazzino, si dovrebbero poi sommare quelli che potrà produrre. Attualmente Teheran ne riempie circa tre milioni e mezzo al giorno, pochi meno dei quattro milioni sui quali era stato stabile per il decennio che ha preceduto la crisi economica. «Prima della caduta dello shah, l’Iran era capace di produrre oltre sei milioni di barili al giorno e potenzialmente potrebbe tornare su queste cifre. Non domani o nell’immediato, ma se ci fosse una vera riforma del settore petrolifero, la crescita potrebbe essere significativa».



Quanti cercano di stimare i prezzi che il petrolio avrà nel prossimo futuro devono poi tenere conto di quanto verrà deciso al prossimo summit dell’Organizzazione dei paesi produttori di petrolio, Opec, che si terrà proprio a giugno. Al vertice dello scorso novembre, l’Arabia Saudita - che con il 16% delle riserve petrolifere è in grado di influenzare il mercato e tiene le redini dell’organizzazione – ha deciso di non fare nulla per far tornare su il prezzo. «Se l’accordo sul nucleare fosse davvero a un passo dalla conclusione e l’Opec non prendesse una decisione in grado di contrastare la caduta dei prezzi, c’è il rischio che questi crollino. Difficile stimare fino a che cifra. Ma non è assurdo pensare che in futuro possano bastare 35 dollari per acquistare un barile» conclude Sartori.



Sullo sfondo resta quindi un dilemma: l’Arabia Saudita è pronta a trovare un accordo con l’Iran sul taglio delle quote di petrolio da mettere sul mercato? O preferisce rischiare ancora una volta per spiazzare un petrolio, come quello iraniano, che è molto difficile da fare crollare perché può essere prodotto anche a prezzi molto più bassi?

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