Il procuratore generale Maruccia: «Criminalità oggi più “tecnologica”. Attenzione alla borghesia mafiosa»

Il procuratore generale Maruccia: «Criminalità oggi più “tecnologica”. Attenzione alla borghesia mafiosa»
di Erasmo MARINAZZO
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Martedì 17 Gennaio 2023, 09:37 - Ultimo aggiornamento: 13:20

Il procuratore generale della Corte d'Appello distrettuale di Lecce, Antonio Maruccia, fa un'analisi sul significato di una inchiesta finalizzata alla cattura di un latitante pescando fra i ricordi dell'esperienza maturata negli anni 90 nell'allora costituendo pool dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Lecce. E anche attraverso gli aggiornamenti forniti quotidianamente dai fascicoli dei processi sulla criminalità organizzata che vanno a dibattimento in appello.


Procuratore generale, cosa comporta ricercare un latitante?
«La cattura è il coronamento di un impegno e di un'attività che hanno una peculiarità: è come una corsa di fondo. Bisogna essere preparati meticolosamente ed agire con intelligenza e strategicamente per non correre il rischio di commettere errori che possano compromettere il risultato finale. Anche perché in contesti come quello della criminalità organizzata esistono sempre reti di riferimenti estese ed intense, più o meno articolate, che possono determinare un rallentamento delle attività».
Le tecniche di indagine sono cambiate?
«Certamente, anche se non bisogna mai dimenticare che c'è sempre l'uomo e la sua capacità di analisi dietro un risultato che lascia un segno nella storia. Oggi lo scenario è diverso perché la tecnologia è entrata in modo pervasivo nella vita delle persone. Ed anche, nel no territorio, tra gli esponenti della Sacra corona unita. Per questo la lotta alla criminalità organizzata non può che passare attraverso le intercettazioni, strumento fondamentale. Lo ha dimostrato anche la cattura di Matteo Messina Denaro in quella intercettazione del dialogo fra parenti sulla sua patologia che ha dato poi il via alla ricerca dei possibili centri di cura».


Dunque, auspica un mantenimento delle attuali norme che regolano le intercettazioni?
«Certamente, del resto, e mi ripeto, lo dimostrano i fatti.

Le intercettazioni sono non necessarie ma indispensabili. La ricerca di un latitante ha una specificità diversa rispetto a 20 anni fa: un latitante si muove con lo smartphone e con il computer. Ha bisogno di comunicare, cerca strategie nuove per eludere le intercettazioni. La criminalità non ha confini, cerca relazioni e relazioni che corrono su binari telematici. Occorrono strumenti normativi adeguati per fare fronte al livello tecnologico raggiunto dal crimine. Parlo anche della ricerca dei beni occultati, non solo dei latitanti».


Nel passato, tuttavia, la Dda di Lecce riuscì a mettere fine a latitanze di esponenti della Scu, pur senza avere a disposizione strumenti tecnologici come quelli odierni.
«È vero, nel passato abbiamo sperimentato difficoltà di diverso genere e i risultati d'eccellenza non sono mancati: qui nel Salento come anche nel Sud America. Parliamo di quando la Scu stava raggiungendo la sua massima espansione oggi lo scenario è diverso ed è fortemente connotato dall'uso delle tecnologie informatiche. Riprendendo la metafora della corsa di fondo, vorrei ricordare che oggi gli specialisti si portano dietro lo smartphone per conteggiare tempi, chilometri, ampiezza della falcata, consumo energetico e distanza da percorrere».


Cosa avete trovato nella rete di sostegno delle latitanze? Per Matteo Messina Denaro si è parlato di borghesia mafiosa.
«È quel settore grigio della società che ho avuto modo di indicare approfonditamente nell'ultima cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario. È un settore che va analizzato a fondo perché rappresenta quella linea occupata talvolta dai rappresentanti delle istituzioni pubbliche e dall'economia. Ne abbiamo fornito prova con le nostre indagini, gli scioglimenti delle amministrazioni comunali per pericolo di infiltrazione mafiosa e con le interdittive della prefettura».
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