Il "no" greco un terremoto per l'economia e la politica

di Oscar Giannino
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Domenica 5 Luglio 2015, 23:59 - Ultimo aggiornamento: 6 Luglio, 01:55
In Grecia hanno vinto Tsipras e Varoufakis. È una data storica, comunque la si pensi. Perché nei decenni ci sono stati popoli europei a dire no alla Cee, all’Ue, alla Costituzione europea e anche all’euro. Ma è la prima volta che il popolo di un Paese dell’euro dice no alle proposte Ue, chiedendo insieme di restare nell’euro ma di «cambiare segno» alla condizioni poste agli aiuti di cui continuano ad avere un dannato bisogno. Oggi i media italiani e quelli di mezza Europa inneggeranno alla grande lezione che la democrazia diretta greca infligge all’Europa dell’austerità a guida tedesca. Per essere realisti, bisogna però non dimenticare che le ragioni della politica greca non fanno scomparire d’incanto quelle della maggioranza dei paesi dell’Euroarea a guida tedesca. Ricordando bene una cosa: da questa mattina, all’apertura dei mercati, il tempo scorrerà molto in fretta e le risposte da dare al no dovranno venire molto, molto rapidamente. Ed essere chiare. Altrimenti le conseguenze saranno sempre meno facilmente maneggiabili. Vediamo perché.



Primo: Grexit sì o no? I greci, come si è sempre detto, non vogliono l’uscita dall’euro, ma molti aiuti meno condizionati dall’Euroarea. Poiché la maggioranza dei leader dell’Euroarea riconosciutisi nella linea tedesca hanno seguito la Merkel sulla linea «il referendum in realtà è sul sì o no sull’euro», oggi cambieranno idea? Accetteranno di fronte ai propri parlamenti e alle proprie opinioni pubbliche l’idea che la democrazia greca da sola vale più di quella di casa propria? In questo caso, diciamolo, i greci avrebbero fatto un miracolo. Ma i miracoli in politica sono merce rarissima.



L’idea che si erano fatti i governi di Germania, Olanda, Austria, Finlandia, Estonia, Spagna e via continuando, era che con questo governo greco non c’è più niente da fare. C’è da immaginare che lo pensino ancora più oggi, non meno. In questo caso, la trattativa con i greci prenderà tutt’altra linea di quella attesa da Tsipras: sarà sulle modalità che la Grecia e l’Euroarea eventualmente concorderanno per far uscire la Grecia dall’euro. Non è un caso che Mosca ieri sera ha fatto sapere che a proprio giudizio la Grecia è più vicina a uscire dall’euro che a un nuovo accordo con Bruxelles: curiosamente, la stessa linea assunta da JpMorgan. Fin qui l’Europa non è sembrata preoccupata di regalare Atene a Mosca.



Lo penserà anche nelle prossime ore?

Secondo: chi paga le banche greche da oggi? Il governo Tsipras ha già chiesto l’estensione da questa mattina della linea straordinaria di liquidità Ela della Bce e l’accesso a un programma biennale dell’Esm per avere 30 miliardi. Senza un nuovo accordo, nel board della Bce attuale non c’è una maggioranza per alzare l’Ela, al massimo per tenerla bloccata alla cifra dell’ultima settimana. Ma in realtà se i titoli detenuti dalle banche greche non valgono più come collaterali, le banche greche non hanno più solo bisogno dell’Ela ma devono essere ricapitalizzate. E le ipotesi sono due: lo può fare l’Esm, se c’è rapidamente un accordo europeo; altrimenti lo deve fare il governo greco, nazionalizzandole se si va all’uscita dall’euro. Altri guai sui mercati, rispetto alle incertezze sui tempi.



Terzo: esiste una terza via? Hollande si è candidato esplicitamente, prima del referendum, a far cambiare questa volta segno alla linea Merkel dell’equilibrio di finanza pubblica. Renzi ha tenuto una posizione allineata alla Germania nella trattativa, ma ha anche detto – vedi l’intervista al Messaggero di ieri - che in caso di vittoria del no sarà anche lui sulla linea di una nuova trattativa aperta alle richieste greche, e contraria all’uscita di Atene dall’euro.



Perché questa linea abbia sostanza, significa che deve accogliere l’idea di ristrutturare ulteriormente il debito che i greci devono oggi non a privati, ma ai governi dell’Euroarea. Cioè dire ai propri elettori che vale assolutamente la pena rinunciare a 10-20 o 30 miliardi dei 40 che la Grecia deve agli italiani. Vedremo se avverrà. La Spagna di Rajoy non è su questa linea. E nemmeno coloro che nel nord Europa pensano che un euro più ristretto sia più omogeneo. Il presidente Sergio Mattarella ha detto benissimo ieri sera: «Scenari inediti, serve grande responsabilità».

Quarto: l’Europa di domani. È anche vero che i tedeschi sono i primi a dirsi d’accordo con lo sviluppo sovranazionale e federalista indicato per il futuro dell’Ue e dell’Euroarea dal «Rapporto dei 5 presidenti».



Qui la politica europea si divide ancor più. Il blocco che si riconosce nelle posizioni tedesche è convinto che l’uscita della Grecia sia un passo non incoerente a sviluppi a breve sovra-nazionali, possibili solo tra paesi che condividano le linee di fondo dell’europatto. Italia e Francia, nelle loro attuali maggioranze politiche, non la pensano affatto così.

Roma e Parigi ritengono che sviluppi federalisti possano venire solo con quote crescenti di debito pubblico condiviso e grandi programmi di eurobond per gli investimenti, e che gli aiuti vadano condizionati non più solo agli equilibri di bilancio ma alla crescita del Pil e dell’occupazione. I mercati, anche su questo, daranno in fretta un prezzo a ogni rischio sovrano nazionale connesso alle posizioni che verranno assunte. Mentre i tempi per cambiare i trattati sono lunghissimi.



Quinto: oltre l’economia, le conseguenze politiche. Vedremo se i mercati con le loro rapide reazioni avranno il ruolo decisivo, nel piegare le posizioni dei governi ai rischi immediati che prezzeranno. Ma le conseguenze politiche del referendum greco sono in realtà rilevantissime. In Spagna il voto greco è aria nelle vele di Podemos. In Italia è una potentissima spinta agli argomenti di Grillo, Salvini, Meloni, di tre quarti di Forza Italia, e dell’opposizione Pd. Tutti, ciascuno portando acqua al proprio mulino, seguiranno la linea che finalmente si può dire no alle richieste di finanza pubblica equilibrata che vengono dall’Europa, naturalmente presentate e vissute invece come “macelleria sociale”.



A partire dal Pd, le conseguenze rischiano di rendere ancora più complicata la vita del governo. E per questo Renzi da oggi tenterà la terza via tra Merkel e Tsipras. Ma dalla riforma della Costituzione a quella elettorale, dalla scuola ai prepensionamenti, ora i Fassina, i Cofferati, i Civati e i Landini hanno molte più frecce al loro arco. Quanto agli altri, la Lega del no nel referendum greco è stata la prima ieri sera a dire che non bisogna dare nuovi aiuti ai greci perché l’Italia rischia troppo, altrimenti dobbiamo fare un referendum anche noi e la loro posizione è che non ha più senso l’euro, non che si debba dare più aiuti a greci.



Sesto: cosa rischiamo noi. Tanto. Ogni incertezza tra eurogruppo e Atene, ogni divisione nel board della Bce, sulle decisioni che la banca centrale europea dovrà assumere prima che la politica decida e che saranno in ogni caso decisive, ognuno di questi passaggi produrrà effetti sul prezzo dato al rischio sovrano dei paesi più indebitati. Noi siamo molto indebitati e a bassissima crescita. Allacciate le cinture, perché il governo Tsipras e i greci hanno posto all’euro e alla Ue più problemi insieme di quanti se ne siano visti negli ultimi 4 anni, da quando nel 2011 esplose la crisi di sostenibilità sui mercati dell’Euroarea.