Palù: «Covid ormai endemico, pensiamo alla terza dose e a convincere gli esitanti.
Ad ottobre la svolta con 2 nuovi farmaci»

Il prof. Giorgio Palù
Il prof. Giorgio Palù
di Angela Pederiva
4 Minuti di Lettura
Domenica 22 Agosto 2021, 11:52

Il professor Giorgio Palù l'ha ripetuto spesso: «Nessuna pandemia dura più di due anni». Arrivati a diciotto mesi dal 21 febbraio 2020, giorno in cui esplose il focolaio di Vo' con la prima vittima del Covid in Occidente, possiamo pensare che sia finalmente iniziato l'ultimo semestre di emergenza? «Non mi azzardo a fare previsioni, ma i dati inglesi e cioè i più verificabili ci dicono che Sars-CoV-2 sta diventando endemico», risponde il docente emerito all'Università di Padova, già presidente delle Società italiana ed europea di Virologia, attuale numero uno dell'Agenzia italiana del farmaco, nonché componente del Comitato tecnico scientifico.
Cosa significa?
«Il virus cerca di persistere nella popolazione, diventata suo ospite naturale, adattandosi alla specie umana. Il che vuol dire essere sì più contagioso, per la necessità di trasmettersi, ma anche avere una minore letalità, quindi assomigliare a un'influenza. Il fattore che contribuisce maggiormente a questa endemizzazione è sicuramente l'immunizzazione».
Dunque è tempo di pensare alla terza dose del vaccino, con la prospettiva magari che diventi un richiamo annuale, appunto come quello dell'influenza?
«Per parlare di terza dose, bisogna pensare a chi, quando e cosa somministrare. Chi: dai 50 anni dai 50 anni in su aumenta il rischio collegato al Covid e la risposta del sistema immunitario diventa meno efficace; inoltre il Cts ha già consigliato la terza dose per i soggetti fragili come gli immunodepressi, i trapiantati, i pazienti oncologici e i dializzati. Quando: occorre attendere i risultati degli studi israeliani e americani per valutare il momento più opportuno. Cosa: per capire quale vaccino iniettare, è bene tenere presente che si stanno allestendo vaccini in grado di proteggerci dalle varianti che avranno un percorso di approvazione facilitata da Ema e Fda (l'agenzia statunitense, ndr.); i dati degli studi di Israele, confermati dall'Istituto superiore di sanità, dimostrano che l'efficacia è del 70-85% nei riguardi del contagio, del 95% nei confronti della malattia grave e del 97% rispetto al rischio di decesso. Nel frattempo per ottobre dovremmo avere una novità farmacologica».
Quale?
«Due nuove categorie di farmaci antivirali specifici. Le industrie stanno presentando i dossier ed Ema (l'agenzia regolatoria europea, ndr.) dovrà valutare questi inibitori, da usare in fase acuta anche per bocca. Com'è stato per gli anticorpi monoclonali, preparati sotto cute e intramuscolo, i pazienti saranno trattati sempre più a livello domiciliare senza intasare gli ospedali. Frattanto sarà fondamentale andare avanti con la campagna vaccinale. A livello nazionale siamo vicini al 70%, dobbiamo riuscire ad arrivare almeno all'80%».
Entro quando?
«Il commissario straordinario Francesco Paolo Figliuolo è stato bravissimo, ma si sono prodigati molto anche i governatori, uno fra tutti Luca Zaia. Credo che fra la logistica centralizzata e la distribuzione territoriale si possa puntare a raggiungere l'obiettivo per la fine di settembre o l'inizio di ottobre. Bisogna però convincere le persone adulte che svolgono funzioni pubbliche».
Si riferisce a sanitari e insegnanti?
«Certamente. Parlo del personale della sanità e della scuola, ma anche di qualsiasi figura impegnata nella pubblica amministrazione, che abbia responsabilità verso la società».
Non è paradossale che proprio i sanitari abbiano poca fiducia nella scienza?
«L'abbiamo notato già con la campagna antinfluenzale: storicamente medici e infermieri sono le categorie con coperture vaccinali ben al di sotto del 50%, malgrado la raccomandazione rivolta alle persone anziane, ai bambini con patologie e appunto ai soggetti a contatto con il pubblico. Perché? Penso che gestire la salute possa dare un malinteso senso di immunità di chi dispensa la salute. Ma in realtà sono proprio i soggetti più a contatto con gli altri che possono diventare diffusori, per cui fanno bere gli Ordini professionali a intervenire».
Come potrà ripartire la scuola fra poche settimane?
«Sulla base della valutazione dei dati epidemiologici. Cosa ci dicono? L'Rt nazionale si attesta su 1,1. Il numero settimanale dei positivi per centomila abitanti è mediamente intorno a 70 e in alcune regioni è sotto la soglia di 50 che permette un tracciamento efficace. Il tasso di occupazione degli ospedali è preoccupante solo per la Sicilia e la Sardegna, le quali sono comunque sotto al limite del giallo. La variante Delta è diventata nettamente dominante, ma è anche quella che risponde ai vaccini. Ecco, mettendo in fila tutti questi dati, si può riaprire la scuola in presenza, ovviamente monitorando attentamente l'andamento epidemico, fornendo le mascherine, garantendo gli impianti di condizionamento dell'aria con immissione ed emissione all'esterno. Ma soprattutto bisogna provvedere a incrementare e sanificare i sistemi di trasporto, nonché ad organizzare i turni che permettano di evitare gli assembramenti dei ragazzi sui mezzi».
Dopo 18 mesi nel tunnel Covid, cosa le resta quando ripensa a quel 21 febbraio 2020?
«L'impressione di un grande clamore mediatico, che non si era mai visto neanche per Hiv. Mi piacerebbe però che questo anno e mezzo venisse ricordato per quello che abbiamo imparato: a fidarci della scienza».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA