De Rita: «La famiglia? La società evolve. Ora a prevalere è il singolo»

Giuseppe De Rita
Giuseppe De Rita
di Mimmo SACCO
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Domenica 19 Maggio 2019, 21:25 - Ultimo aggiornamento: 21:26
Giuseppe De Rita, la famiglia viene considerata un nucleo essenziale della società. Ma la società sta subendo un processo accelerato di cambiamento, coinvolgendo anche lo stesso concetto di famiglia, come lo abbiamo inteso finora. È esatta questa percezione dal suo osservatorio, lei che è presidente del Censis?
«È esatto perché la società sta evolvendo verso una primazia dell'io, una primazia dell'individuo. La famiglia, bene che vada, è una coppia, cioè è composta da due soggetti, invece tutto il sistema economico, il sistema sociale, imprenditoriale, viene giocato su una persona sola, sul singolo, sull'individualismo, sul narcisismo del singolo. Evidentemente non si fa coppia. Se non si fa coppia non si fa famiglia. L'io-tu, che è stato l'elemento fondamentale di tutta la vita umana dalla creazione, poi viene sconfitto dalla società moderna a favore di un io: in un myself first: prima di tutto me stesso. Questo rompe la coppia e se non si forma la coppia non si forma la famiglia e se la famiglia non tiene forte la saldatura della coppia, (l'uno con l'altro), si rompe!».

Come possiamo constatare, (lei lo ha appena accennato), l'idea di famiglia però tende ad essere estesa anche a forme di convivenza particolari: nuclei monoparentali (madri celibatarie; in Francia esiste un nucleo familiare su cinque di questo tipo), spingendosi fino alle cosiddette famiglie arcobaleno. Ma ogni forma di unione si può considerare famiglia?
«Il mio no è netto. Su questo sarò molto cattolico, tradizionale (padre felice di otto figli e nonno di quattordici nipoti) ma io ho vissuto, e credo di aver vissuto bene, in una famiglia tradizionale di padre madre e figli. Non mi sono mai azzardato a pensare in maniera diversa. Vorrei, però, citare un aspetto positivo: tutte le unioni che vengono considerate famiglie, hanno anche una capacità di relazione l'una con l'altra: dentro c'è la relazione. Se c'è relazione, in qualche modo hanno un valore non di dimensione religiosa, esistenziale di famiglia, ma hanno il valore di un rapporto personale che diventa prezioso nella relazione. La madre con soltanto i figli perché il marito se n'è andato (cioè il nucleo monoparentale) ha relazione, e qui le relazioni sono in qualche modo preziose. Invece uno che vive solo, più o meno disperato, la relazione non ce l'ha; poi se fa il volontario o si occupa dei gatti o quello che sia, ha un tipo di relazione. Quello che mi spaventa nella società moderna è il singolo, legato a sé stesso senza relazioni. Se non c'è relazione non c'è società, e se non c'è una relazione affettiva, particolare, stabile non c'è famiglia. Ma io vado un poco più indietro: se non c'è relazione non c'è niente».

Ecco, presidente, collegandomi a questa sua riflessione, credo opportuno ricordare che il Cardinale Lustiger, già Arcivescovo di Parigi, riferendosi alla realtà di questa grande città (ma il tema tocca altri grandi centri e non solo, di altri Paesi), parlava di deserto affettivo.
«Sì, il deserto affettivo c'è se non c'è famiglia: potrebbe essere questo il deserto affettivo. Però viene da una complessità, da una molteplicità di atteggiamenti, di comportamenti. Tutti viviamo, in qualche modo, un po' di deserto affettivo. Io stesso, a volte, (che ho come ho già detto - tanti figli e tanti nipoti), alcune sere, forse perché sono vedovo, mi sento un po' in una sorta di deserto affettivo. Il problema è di costituire dentro di sé e in relazione con gli altri, qualcosa di diverso. Io credo, da intellettuale tradizionale, amante di musica, che i miei momenti di solitudine me li gioco sentendo musica; altri potrebbero fare in maniera diversa. Ma anch'io sento che ho bisogno di un di più, di qualcosa in più rispetto alla musica: la relazione».

Si può ancora parlare di valore del vincolo familiare considerato come punto di riferimento oppure come dice il noto sociologo Bauman la modernità liquida comporta la convinzione che il cambiamento è l'unica cosa permanente?
«Ma Bauman ha scritto ormai libri su tutto, usando la parola liquido. L'altro giorno ho visto in libreria La paura liquida, L'amore liquido. Ma come diceva qualcuno, alcuni anni fa, se tutto è liquido nulla è liquido, se tutto è politica, nulla è politica, se tutto è amore nulla è amore. Non bisogna mai esagerare, e Bauman, secondo me, ha esagerato da questo punto di vista. Naturalmente ha fatto bene, questa è stata la sua intuizione nella sua storia personale. Però che oggi ci sia il cambiamento in termini di liquidità non è tutto lì. Altrimenti dovremmo dar ragione a chi in questo Paese fa un governo dicendo che il cambiamento è liquido, tutto è liquido e quindi io sto facendo il cambiamento. No! Il cambiamento ha dei vincoli particolari che sono legati ai cambiamenti strutturali per cui la parola cambiamento è diversa dalla parola sviluppo. Lo sviluppo è lo sviluppo dell'industria, del turismo, dell'istruzione. Se invece è cambiare per cambiare ha ragione Bauman, ma non credo che lui la pensasse in questa maniera».

Non credo, sono d'accordo. E sulla difesa della famiglia, considerata come unica stabile unione tra uomo e donna, è stato molto esplicito Papa Francesco. Ha invitato ad andare controcorrente. C'è chi dice che il matrimonio oggi è fuori moda. Ribellatevi a questa cultura del provvisorio E ancora precisa il Papa il tema della famiglia va posto in senso positivo e propositivo; mai in senso strumentale e polemico, contro qualcuno.
«Il problema della famiglia come struttura, come strutturalmente legata al rapporto matrimoniale, alla difesa della famiglia, l'unione fra uomo e donna: certamente per un cattolico, che crede, non si può negare l'interesse e la verità di quello che dice il Papa. Il fatto vero è che la società moderna è una società di emozionalità e di emozione sulla cronaca. Qui c'è il problema che il Papa dice giustamente c'è chi dice che il matrimonio è fuori moda e ribellatevi al provvisorio', ma cosa è che rende fuori moda il matrimonio? la cronaca come ho appena detto - è il provvisorio, è la quotidianità, gli stimoli di sette, otto, dieci, venti realtà televisive che ti fanno vedere una coppia in una certa maniera, una devianza in unaltra maniera, e tu hai emozioni diverse dettate dalla cronaca. Tutto questo fa sembrare il matrimonio fuori moda. Infatti se io vedo unioni stravaganti in giro per il mondo o vedo testimonianze televisive di persone che dicono che stanno benissimo in un'altra maniera, sento che la mia idea potrebbe essere controcorrente. No, la verità è che, come ho detto all'inizio, se c'è un fondamento nella società italiana, nella società moderna, propositivo e positivo, è l'unione della relazione. La famiglia è l'inizio della relazione, è il compimento del primo stadio e l'inizio di tutte le altre relazioni. Se non fai questo non puoi essere positivo».

Presidente, sempre guardando al tema della famiglia, non possiamo ignorare che stiamo assistendo ad episodi di inaudita violenza fisica da parte di bande di giovani, o gang baby' come le chiamano alcuni, e giovanissimi (minorenni). L'ultimo episodio è avvenuto a Manduria (Taranto), contro un pensionato che poi è morto. Su questo efferato delitto i magistrati chiamano in causa le famiglie: non controllano e non educano. Episodi di violenza fisica si sono verificati anche al nord, mi limito a citare Bologna e Venezia. È una realtà che preoccupa, e molto. Dove trovare i rimedi? Può servire anche il reinserimento dell'educazione civica nelle scuole, che era previsto nel patto educativo scuola-famiglia?
«Qui c'è un problema centrale: se i genitori sanno fare gli educatori dei figli. È difficile pensare alla scuola, è difficile pensare nella scuola all'educazione, all'educazione civica: andiamo lontani dal problema fondamentale, il problema è la violenza giovanile, questo senso di voglia di possedere, di rompere, di distruggere che c'è. Basta andare una volta in curva sud a Roma o in curva nord e si sente questa idea: devi morì a un poveraccio che magari ha avuto un colpo alla gamba. Questa specie di violenza che non ha solo, probabilmente neppure una base sessuale, e cioè non è una violenza che vuole soddisfare le pulsioni fisiche. Non è lì il problema, è una dose di violenza che c'è nella società moderna che viene da una società di massa fatta da cronaca e film violenti, che creano una propensione alla violenza in quanto tale».

Ma presidente, insisto, c'è qualche rimedio? Questo è il problema serio.
«C'è il problema di tornare a una dimensione del rapporto interpersonale, l'io-tu, che escluda la violenza o almeno la sua tendenza».

In questo contesto il rapporto genitori-figli è il problema di fondo.
«Ci può essere un genitore che cerca di aggiustare lentamente aiutandolo ad incanalare una violenza nuda, adolescenziale, dicendo: ti capisco, ti vedo, ma guarda questi limiti, i tuoi eccessi'. Oppure, al contrario, questo genitore va a scuola e picchia l'insegnante perché diventa violento lui, assorbendo la violenza del figlio contro l'insegnante e la esprime lui. E in questo divario tra un genitore che cerca di comporre la violenza naturale, anche fisica, del figlio e il genitore che invece si comporta in maniera diametralmente opposta c'è lo spazio per l'educazione. Può sembrare troppo semplice, ma è così».

 
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