Draghi a fine corsa: il centrodestra stacca la spina. Alle 9 alla Camera, poi al Colle: ipotesi dimissioni

Il premier boccia la richiesta di un nuovo esecutivo, Lega e Forza Italia lasciano il Senato: fiducia solo con 95 sì (e l’astensione di M5S). Oggi dimissioni al Colle

Mario Draghi fiducia Senato, il premier rientra a Palazzo Chigi. Il governo non ha i numeri. Lega e FI non votano M5S: «Togliamo il disturbo». Letta: «Un giorno di follia»
Mario Draghi fiducia Senato, il premier rientra a Palazzo Chigi. Il governo non ha i numeri. Lega e FI non votano M5S: «Togliamo il disturbo». Letta: «Un giorno di follia»
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Mercoledì 20 Luglio 2022, 06:58 - Ultimo aggiornamento: 21 Luglio, 08:02

«È finita». A metà pomeriggio, del governo di Mario Draghi già si intravedono i titoli di coda. La parola fine verrà scritta con ogni probabilità oggi, con la salita del premier al Quirinale dopo il passaggio alla Camera. Ma a sera l’orizzonte è segnato: dopo 522 giorni, l’unità nazionale che l’ex numero uno della Bce era tornato a chiedere all’aula del Senato si sgretola sotto i colpi del voto di fiducia. Fiducia che, sulla carta, a Palazzo Madama ci sarebbe. Ma che di fatto non esiste più. I sì al governo sono solo 95 su 133 voti validi. Un numero mai così basso, a cui vanno aggiunti i 60 astenuti del M5S e un centinaio di senatori di Lega e Forza Italia in uscita dall’Aula. Il patto si è spezzato, la maggioranza è in pezzi. E il premier non può far altro che trarne le conclusioni. 

Il verdetto arriva dopo le 12 ore più convulse della legislatura. Una giornata cominciata con le comunicazioni di Draghi al Senato e proseguita a salti tra strappi e tentativi di ricucitura. Un’opera di mediazione portata avanti in prima persona anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Che all’ora di pranzo, mentre è in corso il vertice del centrodestra di governo a casa di Berlusconi, Villa Grande, telefona ai leader per sondare le loro intenzioni. La moral suasion cade nel vuoto. E su quella che era cominciata come la crisi dei Cinquestelle, alla fine, saranno i forza-leghisti a mettere la firma. 
La rottura, quella irreparabile, si consuma intorno alle 18. Quando Matteo Salvini certifica una decisione nell’aria da ore. «Il centrodestra non voterà la risoluzione presentata da Pierferdinando Casini», risponde ai cronisti il leader del Carroccio mentre beve una Coca cola alla buvette di Palazzo Madama («al Papeete fu il Mojito, ma è finita allo stesso modo», sorridono amari due senatori). 

LE RISOLUZIONI

Quello di Casini è il testo su cui il governo ha posto la fiducia, l’unico in votazione. Recita così: «Ascoltate le comunicazioni del presidente del Consiglio, il Senato le approva». Lega e Forza Italia ne avevano presentato uno alternativo, a prima firma Roberto Calderoli. Una risoluzione per chiedere, nei fatti, un nuovo esecutivo senza Cinquestelle: «Occorre prendere atto che il M5S non fa più parte della maggioranza e del governo di unità nazionale», l’affondo del capogruppo leghista Massimiliano Romeo. È la tessera del domino che fa precipitare tutte le altre. Perché dall’esecutivo trapela che di Draghi-bis non si parla. E se fino a quel momento tutti guardavano alle mosse del Movimento («voteranno sì o usciranno dall’aula?», la domanda che per tutta la mattina corre tra i corridoi di Palazzo Madama), ecco il cambio di scenario. «La fiducia la stiamo chiedendo su questo governo, non su un altro» la riassume il sottosegretario alla presidenza Bruno Tabacci: «Tutto il resto sono chiacchiere. Chi si nascondeva dietro Giuseppe Conte, dicendo che era solo il Movimento a volere la crisi, adesso sta uscendo allo scoperto». 
Al voto, dunque, si va sul testo di Casini. Prendere o lasciare. Una scelta, quella di Mario Draghi, che il centrodestra accoglie con «stupore». Lega e Forza Italia decidono di agire di conseguenza: «Non parteciperemo al voto». Non senza sofferenze, visto che le cronache raccontano di una lite furibonda tra la coordinatrice di FI Licia Ronzulli, e la ministra forzista Mariastella Gelmini, che a sera lascia il partito. «Vai a piangere da un’altra parte e prenditi lo Xanax», l’avrebbe rimbrottata Ronzulli.

E Gelmini: «Contenta ora che hai mandato a casa il governo? La conta è uno stillicidio. In aula rischia di mancare il numero legale. Lega e Forza Italia escono, si astengono i grillini (che però restano dentro per assicurare la regolarità del voto). Contrari Alternativa e FdI, votano sì Pd, Italia Viva, autonomie, Insieme per il futuro. Ma non basta. 

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IL «PATTO»

Non è neanche lontanamente quel «sostegno più ampio possibile» chiesto dal premier in mattinata. Un discorso a tratti duro, in cui Draghi aveva invocato i partiti di rinnovare quel «patto di fiducia» alla base dell’esecutivo di unità nazionale. «Sono qui perché gli italiani lo hanno chiesto», mette in chiaro il premier, dicendosi «colpito» dall’appello di sindaci, associazioni e categorie che gli chiedevano di restare. «Una mobilitazione senza precedenti impossibile da ignorare», scandisce Draghi, la voce che a tratti si alza. Un coro capace di farlo tornare sulla scelta delle dimissioni, «tanto sofferta quanto dovuta». 
Ma già da quelle prime parole, i leader capiscono l’aria che tira. «È chiaro che non sono le risposte che ci aspettavamo», sentenzia il vice capogruppo stellato Gianluca Ferrara. Gelo dai banchi del centrodestra, mentre Draghi bacchetta la Lega su riforma del catasto e sostegno alle proteste dei tassisti. «Se andrà avanti vuole farlo alle sue condizioni», la riassume un senatore di lungo corso. Che mentre guarda i colleghi rientrare per le repliche del premier, dopo più di 5 ore di dibattito, emette la sua sentenza non senza un filo di cattiveria. «Ecco i tacchini che vanno a festeggiare il ringraziamento». 

 

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