Covid, lo studio sul plasma iperimmune: «Efficace nelle prime fasi della malattia»

Covid, lo studio sul plasma iperimmune: «Efficace nelle prime fasi della malattia»
Covid, lo studio sul plasma iperimmune: «Efficace nelle prime fasi della malattia»
di Michela Allegri
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Venerdì 9 Aprile 2021, 12:33

È efficace, ma non come si sperava all’inizio della pandemia e, soprattutto, sembra funzionare solo per trattare le primissime fasi della malattia, quando gli effetti dell’infezione da Covid sono ancora contenuti. La terapia con plasma iperimmune - cioè quello prelevato da pazienti guariti - non riduce il rischio di peggioramento respiratorio o di morte nei pazienti che si trovano in una condizione già molto compromessa. A dirlo è uno studio clinico chiamato “Tsunami”, promosso da Istituto superiore sanità e Agenzia italiana del farmaco, e coordinato dall’Iss. I ricercatori hanno analizzato l’effetto del plasma ad alto titolo di anticorpi neutralizzanti e lo hanno associato alla terapia standard, poi hanno confrontato i risultati con quelli ottenuti seguendo solo la terapia standard in pazienti Covid con polmonite e compromissione ventilatoria.

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Lo studio ha coinvolto una rete di centri trasfusionali, laboratori di virologia e centri clinici a livello nazionale. Sono stati monitorati 487 pazienti - con comorbidità e terapie concomitanti simili - provenienti da 27 centri clinici distribuiti in tutto il territorio nazionale. A 241 pazienti è stato assegnato il trattamento combinato di plasma e terapia standard, mentre 246 hanno seguito la sola terapia standard.

Ecco le conclusioni degli studiosi: «Non è stata osservata una differenza statisticamente significativa nell’end-point primario (necessità di ventilazione meccanica invasiva o decesso entro 30 giorni dalla data di randomizzazione) tra il gruppo trattato con plasma e quello trattato con terapia standard. Nel complesso Tsunami non ha quindi evidenziato un beneficio del plasma in termini di riduzione del rischio di peggioramento respiratorio o morte nei primi 30 giorni».

 


L’efficacia del plasma è stata registrata solo nei pazienti con una compromissione respiratoria meno grave, ma servirebbero approfondimenti: «Questo potrebbe suggerire l’opportunità di studiare ulteriormente il potenziale ruolo terapeutico del plasma nei soggetti con Covid lieve-moderato e nelle primissime fasi della malattia», proseguono i ricercatori. «Questo studio è comunque un successo della ricerca italiana», ha detto il direttore dell’unità operativa di malattie infettive dell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana, Francesco Menichetti, commentando i risultati dello studio Tsunami, di cui è coordinatore nazionale. «Lo studio non ha potuto dimostrare il vantaggio della terapia con plasma iperimmune nel ridurre il rischio respiratorio e di mortalità a 30 giorni - ha spiegato Menichetti - c’è però un debole segnale di beneficio se usato in pazienti che all’inizio del percorso ospedaliero hanno una non grave insufficienza respiratoria. Proprio per questo motivo vale la pena approfondire l’utilizzo più veloce del plasma iperimmune, che è sicuro e privo di tossicità. Durante il nostro studio abbiamo potuto verificare anche che il suo utilizzo non ha mai creato eventi avversi gravi».

 


Anche uno studio condotto presso il Hackensack University Medical Center, nel New Jersey, ha sottolineato la differenza tra utilizzo precoce della trattamento con plasma iperimmune e utilizzo in una fase già avanzata della malattia. In questo caso la terapia con il plasma di soggetti guariti è stata considerata sicura ed efficace: secondo i ricercatori sarebbe in grado di migliorare in modo significativo gli esiti clinici dell’infezione da coronavirus quando il livello di anticorpi neutralizzanti è sufficientemente elevato. Sono stati studiati gli effetti su 51 pazienti con Covid-19. I risultati della sperimentazione sono stati pubblicati sulla rivista JCI Insights. I pazienti hanno ricevuto un’infusione di plasma ad alto titolo anticorpale diretto contro la proteina virale Spike. Quelli non ventilati meccanicamente hanno mostrato un tasso di sopravvivenza significativamente più alto (88,9%) a distanza di 30 giorni dalla somministrazione, con una sopravvivenza globale del 72,5%. I pazienti che erano invece sottoposti a ventilazione meccanica hanno mostrato un tasso di mortalità del 46,7%. Presso l’Hackensack University Medical Center è stato avviato un programma ambulatoriale con l’obiettivo di trattare i malati nelle prime 96 ore dalla comparsa dei sintomi, in modo da ridurre i ricoveri in ospedale.

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