Città del Vaticano – Non c'è pace sotto gli ulivi di Bose. Ormai è peggio della guerra dei Roses. L'ex priore della comunità ecumenica, fratel Enzo Bianchi ha risposto con una alzata di spalle all'aut-aut tassativo ricevuto dal Vaticano il mese scorso di trasferirsi in fretta e furia, al massimo entro il 16 febbraio, in località Cellole di San Gimignano, in Toscana. Un luogo lontano centinaia di chilometri dalla comunità di Bose che lui stesso aveva fondato negli anni sessanta e dalla quale è stato fatto fuori dal suo ex braccio destro, fratel Luciano Manicardi, con motivazioni che ad oggi restano sconosciute ai più. Il Vaticano, infatti, nonostante i decreti, le sanzioni e le ingiunzioni di espulsione non ha ancora fornito una spiegazione trasparente sul perchè si è generata una situazione tanto difficile e strampalata.
Ieri la comunità di Bose ha diffuso un comunicato per comunicare che Enzo Bianchi, il ribelle, non ha ubbidito ed è rimasto esattamente dove ora si trova, in una struttura a pochissimi chilometri da Bose.
La destinazione in Toscana, spiegano a Bose, non sarebbe stata frutto di un'imposizione ma di una scelta concordata per accogliere una precisa richiesta della comunità. Eppure Enzo Bianchi ha deciso di fare di testa sua e restare alimentando così ulteriori dubbi: cosa si nasconde dietro questo pesante e profondo conflitto?
«Con profonda amarezza la Comunità ha dovuto prendere atto che fratel Enzo non si è recato a Cellole nei tempi indicatigli dal decreto del delegato pontificio – si legge in una nota di Bose - Si trattava di una soluzione messa a punto in questi mesi con l’assenso ribadito per iscritto dallo stesso fratel Enzo e da alcuni fratelli e sorelle disposti a seguirlo per fornirgli tutta l’assistenza necessaria (...) Lo spostamento di fratel Enzo a Cellole avrebbe contribuito ad allentare la tensione e la sofferenza di tutti e avrebbe facilitato il lento cammino di riconciliazione e comprensione reciproca. Purtroppo la mano tesa non è stata accolta e ora la Comunità dovrà anche affrontare l’impegnativo onere di far ripartire la Fraternità di Cellole, poiché la sua chiusura avrebbe prodotto piena efficacia solo a partire dall’arrivo di fratel Enzo alla Pieve. La presenza di Bose in quel luogo, infatti, è un impegno nei confronti della diocesi e una responsabilità morale verso le tante persone che là avevano trovato un alimento per la loro vita spirituale e umana».
Di questa vicenda resta insoluto il mistero di questo provvedimento tanto duro. Ma finora in Vaticano nessuno ha voluto dare spiegazioni ai fedeli, con buona pace della sparenza richiesta.