Attentato a Parigi, lacrime e fiori: la ballata per gli amici scomparsi

Attentato a Parigi, lacrime e fiori: la ballata per gli amici scomparsi
di Mario Ajello
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Sabato 21 Novembre 2015, 13:27 - Ultimo aggiornamento: 16 Novembre, 08:46

dal nostro inviato

PARIGI I vivi che parlano dei morti. E vanno a trovarli, anche se loro non ci sono più, perché chiusi ormai nei sacchi mortuari e portati via già nella notte della tragedia, nei luoghi in cui la furia islamista li ha colpiti. Nella loro incolpevolezza di ragazzi che volevano soltanto ascoltare un gruppo rock ma hanno scelto la sera sbagliata nel posto sbagliato: il Bataclan.

IL TURCO

Un ragazzo turco, sfuggito alla morte l'altra sera, è tornato davanti al teatro sbarrato dalla polizia e inaccessibile a tutti, per portare una rosa alla memoria della sua amica crivellata dai colpi e appoggia il fiore in una aiuola e racconta la storia di un sodalizio: «A Mutlu piaceva cantare. Viveva qui da sempre, ancora con i genitori. A 24 anni si ha la vita davanti. Ma nel suo caso non é stato così».

LA SEPARAZIONE

Lui, Arkin, studente universitario, fan degli Eagles of Death Metal il cui pullman nero da tour é ancora parcheggiato all'esterno della sala, ama questo gruppo ma neanche tanto: «Preferisco i Pink Floyd».

Ma non è di questo che vuole parlare. «Io - dice - mi sono salvato fingendomi morto. Tutti lo facevano ma i terroristi sparavano lo stesso, per essere sicuri che fossimo tutti morti. Mutlu era stesa accanto a me. Quando io mi rialzo, vedo che lei non lo fa. In quel momento i nostri destini si sono separati. E ora non posso che piangerla».

I CAFFE'

Piange, seduto all'esterno di uno dei pochi caffè aperti a due passi dal Bataclan, un omone grande e grosso. E' il proprietario della sala del concerto, Arnauld Lagardère. Ha con sé una grande busta di plastica color arancione.

Che cosa contiene? «Una camicia, una borsa, alcuni pezzi di stoffa ma non so che cosa sono. Li ho raccolti per tenerli con me. In ricordo di chi c'era e ora non c'è più. Scappando fuori dal locale, correvo insieme a una ragazza, poi l'ho sentita urlare e non l'ho vista più. Quando si potranno andare a trovare i defunti, la voglio cercare. Magari le regalerò, anche se non ha più la vita per indossarlo, uno dei vestiti che ho appena recuperato».

E riprende a singhiozzare timidamente Arnauld: «Perdonatemi. Le emozioni sovrastano le mie parole».

La cerimonia del ricordo continua. Quando arriva nella zona dei fiori, dei ceri e delle poesie alla Spoon River il musicista che si è portato un pianoforte a coda sulla bici, piazza il suo strumento e comincia a suonare in maniera straziante "Imagine" di John Lennon.

IL TEDESCO

Lui è un tedesco dal nome italiano, Davide Martello. Gli si avvicina Sara, e gli fa: «Voglio dedicare questa canzone alla mia amica Joan, anche se lei ai Beatles preferiva i Rolling Stones». E ognuno ha un compagno, una compagna, un conoscente o un vicino di posto al concerto del massacro che è rimasto tra le vittime innocenti. "Imagine", nella versione del pianista-ciclista, é la canzone che attiva un dialogo sentimentale tra i vivi e i morti. E sono lacrimoni ma senza esagerare.

IL BOICOTTAGGIO

Benjamin e Cèlia, 43 anni, si sono salvati entrambi. Ma con loro c'era anche un altro amico. «Avevamo appena finito di parlare con lui proprio del Bataclan. Era un esperto di musica. Ci ha raccontato qualche storia interessante, che può essere legata al massacro che è successo. Questo è un locale amico degli ebrei. E gli Eagles of Death Metal avevano suonato a luglio in Israele rifiutando l'appello dell'ex cantante dei Pink Floyd, Roger Waters, a boicottare lo stato ebraico». Storie così. Erano in tre gli amici e sono rimasti in due.

IL DOLORE

Tre erano anche i grandissimi Lou Reed, Nico e John Cale che ha intitolato "Paris" il suo disco più bello (senza i Velvet Underground). Al Bataclava suonarono una versione mitica di «I'll Be Your Mirror»: «Ed é quella dolce melodia che mi piacerebbe ascoltare, dedicata a tutti loro, al funerale dei ragazzi che sono morti per colpa di un delirio che non li riguardava», così parla Jacob, uno di quei giovani che ha avuto la fortuna che è mancata agli altri. Poi si allontana. E si vede che si sente più solo.