Quei quattro giaguari zoppi e depressi che in Argentina hanno salvato la specie

Quei quattro giaguari zoppi e depressi che in Argentina hanno salvato la specie
Quei quattro giaguari zoppi e depressi che in Argentina hanno salvato la specie
di Francesca Pierantozzi
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Giovedì 3 Settembre 2020, 08:36

PARIGI Nahuel aveva sempre mal di denti, Tania era zoppa, Tobuna grassa e indolente e Jatobazinho perennemente depresso, immemore della regale ferocia dei suoi avi: come giaguari, una banda davvero scalcagnata. Eppure è toccato proprio a questi quattro, dopo una vita triste passata dentro a uno zoo, compiere una missione storica, e dimostrare che sul pianeta terra, la vita selvaggia si può ricreare. In barba alle deforestazioni, alle terre divorate dall’uomo: si può tornare indietro, a secoli, millenni fa.

Il giaguaro sale sulla barca e sorprende i pescatori

I GEMELLI In America del Sud, per esempio, si può tornare a quando le sterminate torbiere erano popolate di giaguari, appunto, e anche di formichieri giganti, maestose are dalle ali verdi, cervi delle pampas, tapiri. L’anno scorso, dopo più di 70 anni, all’Ibera National park, sono nati due piccoli giaguari, Arami e Mbarete. Sono i figli di Tania. Nonostante la zampa mutilata – ricordo dell’incontro con una tigre nel recinto dello zoo dove è nata – è riuscita a far riparlare i suoi geni addormentati dalla cattività.

«Dopo dieci anni di lavoro senza sosta per riportare il giaguaro alle sue terre, abbiamo finalmente la prima generazione che riporterà la vita selvaggia nelle terre umide di Ibera» disse all’epoca Kristine Tompkins. Con il marito Douglas (morto nel 2015) ha cominciato a comprare terre in Sudamerica negli anni ’90. Entrambi avevano deciso di cambiare vita, lei fondatrice della marca Patagonia, lui di North Face. Nel ’97 hanno ceduto 60mila ettari di terra al governo Argentino per farne una riserva naturale, l’Ibera Park.
 



«Qualcuno ci disse allora che un paesaggio senza la vita selvaggia era una scenografia, fu una folgorazione» racconta oggi Kristine al New York Times. Da allora è cominciato questo progetto folle di reintrodurre nell’area gli animali selvaggi di cui era l’ecosistema decenni se non secoli fa.

PROTAGONISTA A orchestrare questa “reintroduzione” della vita selvaggia, una sorta di Jurassik Parc, è Sebastian Di Martino, responsabile di progetti di conservazione alla Rewilding Argentina Foundation. La Fondazione si occupa ormai di “restaurare” la salute degli ecosistemi del Paese. «In un certo senso – spiega De Martino – ripariamo gli errori commessi». E la malmessa ma volenterosa squadra di giaguari che la sorte gli ha portato («non possiamo certo scegliere gli esemplari, ma sono stati bravissimi») ha dimostrato che è possibile.

«Abbiamo deciso che non potevamo limitarci a stare in trincea e resistere alla distruzione degli ecosistemi - spiega Di Martino – Più che mai dobbiamo essere offensivi, non conservare, ma ricreare che è un po’ come andare in guerra». E la prima battaglia è stata vinta. I giaguari non solo sono sopravvissuti al “ritorno”, per loro piuttosto un “debutto”, alla vita selvaggia, hanno re-imparato, pescando nel profondo della loro natura, a cacciare e si sono riprodotti. Il prossimo, determinante, passo, sarà lasciarli completamente liberi, liberi di ritrovare il mondo perduto. Se tutto andrà bene, entro la fine dell’anno o al massimo all’inizio del 2021. «Stiamo riparando i danni che l’uomo ha fatto – insiste Di Martino – e oggi è straordinario cominciare a vedere i primi risultati. Lavoriamo per fare in modo che il nostro lavoro non sia più necessario. Quello sarà il momento più bello, quando la vita andrà avanti da sola». 

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