Ragazza down torna a nuotare ma non può fare le gare, la mamma denuncia: «Negato il certificato medico agonistico»

Ha solo un semplice certificato medico sportivo che non la ammette nemmeno alla categoria base

Ragazza Down torna a nuotare, la mamma denuncia: «Negato il certificato medico agonistico»
Ragazza Down torna a nuotare, la mamma denuncia: «Negato il certificato medico agonistico»
di Rosalba Emiliozzi
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Mercoledì 9 Febbraio 2022, 10:33 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 04:11

Anna ha 17 anni e una passione per l’acqua. Nuota da quando aveva sei mesi, la piscina è il suo appiglio, una sfida ai suoi limiti, una soddisfazione visto che in vasca è molto forte e fa apnea con buoni risultati, se rapportati alle sue difficoltà. Sorride tanto quando è in acqua Anna, ci sta bene e aveva anche fatto amicizia con un gruppo di coetanei impegnati tutti insieme nelle gare agonistiche. La pandemia, si sa, ha spazzato via ogni abitudine, chiuse le piscine sospeso il nuoto per quasi due anni, ora per Anna è tornato il momento di ripresentarsi in vasca, con un costume intero nuovo e il suo gruppo per riprendere le gare, gare per atleti con disabilità, quelli che alle ultime Olimpiadi ci hanno dato grandi emozioni.

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LA BUROCRAZIA Ma Anna quest’anno è stata fermata dalla burocrazia o, meglio, da una interpretazione statica delle norme che regolano il rilascio del certificato medico agonistico, necessario per fare le gare. Anna, ragazza con sindrome di Down, ha un incartamento alto mezzo metro che dimostra il suo buono stato di salute, con firme di specialisti e ospedali pubblici quotati, tanto che il medico del poliambulatorio di Casalena, a Teramo due anni fa, aveva rilasciato il certificato agonistico basandosi anche sulle valutazioni mediche dei colleghi e verificando di persona il suo stato di salute. Quest’anno la mamma di Anna per quel certificato si è rivolta a un centro privato, a pagamento, e lì Anna «non è risultata idonea - dice la mamma di Morro d’Oro - nonostante mia figlia stia bene, fa apnea per mezza vasca, e cammina per chilometri senza fermarsi». Cammina sì, ma non corre a comando sul tapis roulant, è questo l’inghippo. «Una delle prove da superare - spiega la mamma - è quella sotto sforzo, mia figlia non ha problemi, ma non è collaborativa e quando le hanno detto di mettersi sul tapis roulant e correre, una volta si è fermata quasi subito rifiutandosi di procedere, la seconda volta l’ha fatto, ma non fino in fondo come prevede la prova, è arrivata a un punteggio di 132 su 150». E la dottoressa ha emesso un verdetto negativo. «Negandole il certificato agonistico, che un medico pubblico le aveva già dato prima della pandemia, è come se l’avesse bocciata - dice la mamma - a mia figlia andava proposta una prova alternativa al tapis roulant, che può mettere in difficoltà ragazzi con disabilità, solitamente non collaborativi. Magari salire le scale, fare la ciclette, o correre all’aperto potevano essere soluzioni valide, che però non sono state minimamente valutate».

Risultato? Anna ha solo un certificato medico sportivo, che la esclude dalle gare agonistiche e non la ammette neanche alla categoria base. «Mia figlia, lo ribadisco, sta bene, ha superato anche il Covid, non capisco perché le è stato negato quel certificato che le spetta» dice la mamma.

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LE DOMANDE Tre le domande della mamma di Morro d’Oro. «Come genitore ho firmato e dato il consenso per la vaccinazione di mia figlia, perché non possono firmare e prendermi la responsabilità anche per farla gareggiare?». E poi «perché un medico non svolge appieno il suo ruolo, che prescinde da meri risultati matematici, non certifica l’evidenza, che mia figlia sta bene e può andare in vasca a gareggiare?» e «perché chi sa non interviene?». Oggi Anna, con il certificato sportivo, può fare solo attività ludica in acqua e non partecipare alle gare come i suoi compagni che presto vedrà partire per le competizioni senza di lei. «Dovrei impugnare quel certificano, andare in tribunale, farlo annullare e chiederne uno nuovo» dice la mamma. Una battaglia legale durata diversi anni l’ha già fatta per avere a scuola un insegnante di sostegno vero e continuativo. Sarebbe un’altra causa di civiltà, «ma sono stanca - dice - di dover sempre affermare con un giudice sacrosanti diritti di persone con disabilità. Lo sport dovrebbe unire non escludere, ma ahimè questo è».
 

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