Razzante: «Bisogna far conoscere le insidie della Rete»

Ruben Razzante
Per fare in modo che la rete non si trasformi sempre più in una “selva oscura” bisogna cominciare ad autotutelarsi, perché niente e nessuno ci...

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Per fare in modo che la rete non si trasformi sempre più in una “selva oscura” bisogna cominciare ad autotutelarsi, perché niente e nessuno ci potrà difendere dalle “fiere” in agguato meglio di noi stessi. Anzi, siamo spesso noi, con i nostri comportamenti disinvolti sui social, a dare forma a potenziali pericoli.

Educazione digitale, strumenti giuridici e tecnologie sono al centro della settima edizione del “Manuale di Diritto dell’Informazione e della Comunicazione” (Ed. Cedam – Wolters Kluwer) che venerdì 31 marzo sarà presentato a Lecce (nel box i dettagli dell’appuntamento).
L’autore Ruben Razzante, docente di diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano, è giurista e anche giornalista, docente e consulente, per cui con un linguaggio divulgativo ha riunito concetti scientifici giuridici utili a tutti, imprese e professionisti, ma anche cittadini comuni, perché ormai la rete riguarda quasi tutti, per lavoro o per svago. I dati parlano di 30 milioni di italiani su Facebook.

Professor Razzante cominciamo dall’inizio: che cosa intendiamo quando parliamo di esigenza di tutela della privacy, di oblio e di diritti da tutelare nel web?
«In rete si sono moltiplicate le opportunità di approvvigionarsi di informazioni aggiornate, plurali per la molteplicità di fonti, ma si sono moltiplicati anche i rischi per la tutela delle persone. Infatti in rete lasciamo una serie di impronte che ci rendono profilabili a vari livelli e i colossi della rete con sofisticati algoritmi assumono e utilizzano i nostri dati sensibili per finalità promozionali e commerciali. Ampliano a volte i nostri orizzonti e ci offrono servizi gratuiti, opportunità e suggerimenti, ma nel contempo monetizzano questa risorsa inestimabile, il petrolio dell’economia digitale che sono i nostri dati, arricchendosi in maniera sempre più sproporzionata».

Vogliamo spiegare dov’è il pericolo?
«Tutto questo ci rende più vulnerabili dal punto di vista della tutela dei diritti perché molte informazioni personali e anche intime si rendono reperibili in rete dove noi stessi le mettiamo, senza accorgercene o perché accettiamo scambi tra servizi gratuiti e cessione dei nostri dati. Questo scambio produce grossi rischi per le nostre vite, dalla violazione della privacy e del copyright alla lesione dell’onore e della reputazione, fino alla gogna mediatica perpetua per l’impossibilità di eliminare dalla rete notizie che ci riguardano, magari non più attuali, lesive della nostra identità digitale. Ecco il rovescio della medaglia. La rete da un lato è fonte di ricchezza e opportunità, dall’altro ci espone al rischio di avere un’immagine digitale che non corrisponde a quella reale o peggio ancora la compromette».

Il “Manuale di Diritto dell’Informazione e della Comunicazione” come funziona?
«È un riferimento per tutti i cittadini. Lo scopo è aggiornare i lettori sulle ultime novità normative, giurisprudenziali, deontologiche e dottrinali che riguardano il web. Laddove infatti non arrivano le leggi per normare la rete è arrivata la giurisprudenza con sentenze illuminanti che hanno già dato ragione a cittadini che per esempio hanno presentato querele per diffamazione a mezzo Facebook, o ricorsi al garante della privacy per violazioni subite in rete. Ci sono cioè sentenze nazionali ed europee che stanno sopperendo alle lacune legislative, e stanno spingendo il legislatore a creare delle norme. In Europa è nato a maggio 2016 il nuovo regolamento sulla privacy che entrerà in vigore il prossimo anno in tutti i paesi europei e metterà una serie di paletti agli operatori della rete che dovranno necessariamente tutelare la privacy e anche la profilazione degli utenti».

Si parla anche di deontologia.
«Ci sono esempi lodevoli di autoregolamentazione che si stanno affermando come il testo unico dei doveri del giornalista che è entrato in vigore nel febbraio 2016 che estende i doveri del diritto di cronaca anche ai social network. Anche alcuni provider si stanno autodisciplinando con nuovi codici e i colossi della rete come Google e Facebook stanno dimostrando disponibilità a rivedere alcuni algoritmi in funzione di una maggiore protezione e rispetto alle fake news, le notizie false. Si avverte un grande impegno generale a garantire la qualità della rete, anche perché se la gente cominciasse a non fidarsi di questi canali, non li userebbe più, e tanti colossi imploderebbero».

Ma come ci si può tutelare? Esistono errori gravi da non fare mai?

«C’è un vademecum del garante della privacy scaricabile gratuitamente che contiene notizie pratiche su come difendersi dalla sovraesposizione in rete. La parola d’ordine è sempre “autotutela”. Quando facciamo delle operazioni come un biglietto aereo dobbiamo necessariamente lasciare dei dati per certificare la nostra identità che però restano limitati a quella transazione, ci sono buoni standard di sicurezza ormai. Quello che invece dobbiamo fare con cautela è esternare troppo sui social le nostre emozioni, preferenze, i nostri punti di vista, lasciare troppi indizi che ci rendono libri aperti, classificabili come consumatori di certi prodotti, o come persone troppo sfrontate o allegre per fotografie che mettiamo sui social. Utilizzare i social come sfogatoi delle nostre pulsioni può essere rischioso per tante cose, può essere usato contro di noi, anche per il nostro futuro lavorativo, quando dovremmo rispondere anche del nostro passato digitale. Niente si potrà più cancellare in maniera definitiva. L’oblio non esiste, è solo un’illusione. L’autotutela è quindi il primo principio da tenere sempre presente, dalle cose più semplici a quelle con esiti più tragici riportati dalla cronaca. La mia proposta è che, al di là delle leggi punitive adottate dagli altri Stati, il governo italiano possa convocare un tavolo sul tema della rete, delle “fake news”, della qualità dell’informazione in rete, con giornalisti, editori tradizionali, colossi della rete, associazioni dei provider e ministero dell’Istruzione per valutare linee guida da seguire sull’uso dei contenuti in rete. Potrebbe essere un’iniziativa per far crescere la sensibilità su questi temi e dare un segnale forte sulla possibilità di migliorare tutti insieme la qualità della rete». Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia