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Sessant’anni di ricerca per un esperimento di qualche miliardesimo di secondo, che in futuro permetterà al mondo di produrre energia sicura, inesauribile, pulita.
In fondo è tutta questione di tempo. Le stime più attendibili ipotizzano che entro i prossimi 4 o 5 decenni, il mondo conoscerà la portata rivoluzionaria dell’energia prodotta dalla fusione nucleare. E sono due le tecnologie in gioco, impegnate in un obiettivo comune: quella magnetica, alla base del progetto internazionale Iter, che prevede la costruzione di una centrale nel sud della Francia e quella a confinamento inerziale, sperimentata nell'agosto 2021 e anche ultimamente nel dicembre 2022 dalla National Ignition Facility (NIF) negli Stati Uniti. Ma se gli scienziati americani hanno potuto contare su un finanziamento di circa 600 milioni di dollari, la Commissione Europea, storicamente, ha puntato sulla fusione nucleare magnetica, destinando alla tecnologia inerziale, che ha un passato di 60 anni di ricerca, appena circa 600mila euro complessivi. Briciole per ogni Paese che porta avanti il proprio progetto, contando sulla genialità dei propri ricercatori, che nonostante gli esigui finanziamenti, hanno fatto enormi passi in avanti.
IL PRIMATO
L’Italia è tra i pionieri di questa tecnologia, risalente agli inizi degli anni Sessanta, grazie agli sforzi di ENEA, La Sapienza di Roma, Cnr e l’Università di Pisa. Nel 1961, infatti, fu sperimentato a Frascati, alle porte della Capitale, nel centro Enea, il primo sistema laser italiano, che nell’arco di 20 anni di sperimentazioni ha portato, alla fine degli anni Ottanta, alla costruzione del laser ABC a due fasci, tutt’oggi in funzione, in grado di produrre gli impulsi laser con la più alta energia tra gli impianti laser italiani. E fu proprio il centro di Frascati nel 1996 a ospitare la prima edizione della Conferenza europea sulla fusione nucleare a confinamento inerziale. «L’esperimento americano è stato condotto usando 192 fasci laser in qualche miliardesimo di secondo, all’interno di una camera a vuoto, ossia un contenitore dal quale viene pompata via l’aria e i laser sono stati puntati su un contenitore cilindrico forato e lungo alcuni millimetri - spiega Fabrizio Consoli, responsabile del laser per la fusione ABC dell’ENEA - E' necessario avere un impianto così grande, ma si possono condurre studi anche in strutture più piccole come la nostra, in cui anziché usare 192 fasci, se ne usano uno o due, puntati in un punto preciso, grazie ai quali riusciamo a studiare i principi fisici e a migliorare le condizioni di interazione e le tecnologie degli esperimenti più grandi come quelli degli americani».
L’ESITO
Il risultato è comunque molto positivo, perché i laser usati nell’esperimento californiano risalgono a 20 anni fa, mentre quelli attuali sono molto più efficienti, che uniti a tipologie di approcci più promettenti, rendono il futuro ancora più vicino. Il successo americano, di riflesso, è rimbalzato anche all’attenzione dei decisori europei, ma soprattutto ha spinto gli enti di ricerca e gli accademici a unire le loro forze per non giocare più la partita da soli. «Anche in Europa, alcuni Paesi stanno rivalutando la tecnologia a confinamento inerziale e in Italia ci stiamo organizzando per mettere in piedi un progetto europeo che unisca le esperienze dei singoli Paesi in grado di competere con il colosso americano», spiega Consoli, sottolineando poi come la Commissione europea, decenni fa, decise di investire nella fusione nucleare magnetica e pochissimo sull’inerziale: «È stata una decisione strategica, ma da circa 18 mesi stiamo cercando di far capire all’Ue che entrambe le tecnologie sono valide per ottenere l’energia pulita e che sarebbe importante incrementare i fondi anche per l’inerziale».
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