Geniale moka che unisce i riti del caffè tra napoletana ed espresso

Geniale moka che unisce i riti del caffè tra napoletana ed espresso
Lo spazio di una tazzina sa contenere tante cose: rito, memoria, routine, affetti, design, innovazione. Ascolta: Mondiale del Qatar, sensori sulle maglie dei tifosi e chip nel...

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Lo spazio di una tazzina sa contenere tante cose: rito, memoria, routine, affetti, design, innovazione.

E il caffè è un’esemplare unità di misura di quelle rivoluzioni minime e silenziose che riscrivono abitudini, costumi, metrica della quotidianità. Cialda o capsula: il piacere espresso, oggi, è a portata di mano per tutti. Basta poco. Ma la preparazione casalinga del caffè ha una lunga e nobile storia alle spalle, intrecciata di liturgie d’altri tempi. «E me lo devo preparare io stesso, con le mie mani», spiegava Eduardo De Filippo nel memorabile pezzo di “Questi fantasmi!”, sciorinando tutti i passaggi dalla tostatura dei chicchi e fino ai piccoli trucchetti per acconciare adeguatamente la caffettiera napoletana, invenzione d’inizio ‘800 composta da cinque moduli a incastro tra loro.

La “cuccumella” è stata per decenni una specie di specchio di un’altra società, ad andamento lento. C’è però un epocale anello di congiunzione tra la “napoletana” e le macchine per l’espresso: la moka, che tuttora resiste nelle case e nel cuore degli italiani. Inventata da Alfonso Bialetti nel 1933, è un monumento di geniale semplicità e praticità, oltre che icona mondiale del design industriale nostrano: quattro componenti, base ottagonale, il sistema a caldaia che sfrutta la pressione del vapore saturo, dimensioni variabili e scandite a numero di tazzine.

Bialetti fu ispirato da un altro lembo di un’Italia che non c’è più: vide la moglie fare il bucato con la “lisciveuse” (da lisciva, in quegli anni un diffuso detersivo economico), una lavatrice d’antan formata da un catino di acqua bollente e da un filtro contenente cenere. Perché non applicare gli stessi principi e la stessa meccanica al caffè? Il risultato fu un capolavoro, simbolo del Made in Italy, tanto da essere nella collezione permanente del Triennale design museum di Milano e del MoMa di New York. L’intuizione di Bialetti è l’avo ben vitale delle macchine semi-automatiche da caffè espresso che popolano sempre più abitazioni e luoghi di lavoro. Anche qui, l’invenzione della moderna macchina è tutta italiana, il brevetto è della metà degli anni ‘30 (il “rubinetto a stantuffo”). Prima nei bar, poi – tra polvere, capsule e cialde – anche nelle case e con dimensioni progressivamente più contenute e funzioni ed efficacia sbalorditivi. Però sempre convivendo pacificamente con la moka, che sa conciliare il vecchio e il nuovo, comodità e cerimoniale. Perché in ogni caso e in tutti i modi – ancora De Filippo – «a tutto rinunzierei, tranne che a questa tazzina di caffè».

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Quotidiano Di Puglia