Assalto al portavalori del maggio 2013, chiesti oltre 47 anni

Assalto al portavalori del maggio 2013, chiesti oltre 47 anni
«Fu un vero e proprio inferno», raccontarono alcuni testimoni che rievocarono in aula l’assalto a un furgone portavalori della Sveviapol, avvenuto il 2 maggio del 2013. E di...

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«Fu un vero e proprio inferno», raccontarono alcuni testimoni che rievocarono in aula l’assalto a un furgone portavalori della Sveviapol, avvenuto il 2 maggio del 2013. E di quell’incredibile “inferno” ha parlato ieri il pubblico ministero Lucia Isceri, che ha ricostruito le fasi salienti dell’assalto, andando però oltre.




L’accusa pubblica, che ha chiesto la condanna dei quattro imputati, ha offerto al tribunale (collegio presieduto dalla dottoressa Rina Trunfio, giudice relatore dottor Filippo Di Todaro), una ricostruzione capillare dell’identikit dei banditi che misero a segno il raid, che si tradusse in un milionario colpo fallito. Non essendo stati presi sul fatto, gli autori del raid riuscirono infatti a far perdere le loro tracce. Tuttavia, in quattro sono ancora in stato di detenzione, per effetto di indagini ricostruttive che avrebbero portato a delineare la presunta responsabilità degli imputati alla sbarra.



E ieri la dottoressa Isceri ha spiegato, dal proprio osservatorio, il perchè richiede la condanna di quattro uomini, sul presupposto che a vario titolo abbiano effettuato l’assalto. La ricostruzione dell’accusa si è soprattutto basata sulla miriade di indagini, anche tecniche, favorite dal ritrovamento, nella zona dell’assalto armato, di un telefono cellulare. Quella traccia, secondo la tesi accusatoria, fu la ”pistola fumante” che «ha permesso di stabilire con certezza chi, come e quando agì» in quella circostanza.



Nella sua requisitoria, la dottoressa Isceri ha utilizzato a mani basse non solo le indicazioni dei testi, ma anche le comparazioni effettuate dai consulenti tecnici e soprattutto le conclusioni degli investigatori del Commissariato di polizia di Manduria. Alla fine, ha ritenuto di poter consegnare, con “zero” dubbi sulla identificazione degli autori, le proprie conclusioni nei confronti degli imputati alla sbarra.



Quattordici anni di reclusione sono stati chiesti a carico di Gilberto Dorno, 58enne di San Giorgio Jonico; undici anni sono stati invocati per Pasquale Felice Barbati, 48enne di San Giorgio Jonico; undici anni e due mesi sono stati chiesti per Luigi De Michele, 44enne di Carosino, e undici anni e mezzo a carico di Michele Mastropietro, 49enne di Carosino.



Dopo l’intervento dell’accusa pubblica è cominciata la serie di arringhe del collegio di difesa, introdotta dalle argomentazioni dell’avvocato Cosimo De Leonardis e proseguita con l’intervento dell’avvocato Biagio Leuzzi. Nella prossima settimana, il ventaglio di arringhe sarà definito con gli interventi degli avvocati Luigi Danucci, Fabrizio Lamanna e Gaetano Vitale. La difesa ha ovviamente puntato a demolire i percorsi, tecnici e non, seguiti dagli investigatori per dimostrare che a mettere a segno il raid siano stati i quattro uomini arrestati.



L’assalto armato di cui si discute in aula fu da film apocalittico: il furgone portavalori fu crivellato di colpi e quasi decappottato, come una scatoletta, per l’uso delle fiamme ossidriche con cui i banditi volevano arrivare ai soldi disponibili sul mezzo: circa 5 milioni e mezzo di euro. E poi autovetture in fiamme, di provenienza furtiva, per creare confusione. Le indagini partirono, appunto, da un cellulare trovato per strada. Il colpo “del secolo”, però, non riuscì, perchè i banditi non riuscirono a portare via il forziere. Ma su quell’assalto avvenuto in agro di Monteiasi le indagini andarono avanti per mesi. Sino all’ottobre successivo, quando la polizia fermò i quattro imputati. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia