Costretti a turni di lavoro massacranti e privati di ogni libertà. Schiavi. È la storia di cinque braccianti romeni, reclusi nelle campagne di Ginosa. Il loro caso...
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Tre uomini e due donne cacciati e abbandonati dal loro caporale davanti al terminal bus di Porta Napoli a Taranto, “colpevoli” di aver chiesto i soldi per il loro lavoro. Erano arrivati qualche mese fa in cerca di una vita migliore ma hanno trovato la schiavitù travestita da lavoro. «Sono venuti alla Cgil cercando su Internet termini come “sfruttamento nei campi” e “caporalato” per cercare un aiuto per uscire da una situazione difficile – ha spiegato Assunta Urselli, segretario della Flai di Taranto – e così insieme alla Flai Cgil hanno denunciato l’accaduto ai carabinieri e all’ispettorato del lavoro. Ci hanno detto di lavorare fino a 16 ore al giorno, di riposare nelle vicinanze di un porcile in un casolare in aperta campagna con la “compagnia” di topi, con i servizi igienici esterni e attaccati al pozzo da cui prendevano l’acqua per cucinare. Non solo fetore per i braccianti che avevano un salario di 28 euro al giorno ma anche restrizioni: non potevano uscire per comprare medicine, alimenti o sigarette, se ne occupava direttamente il caporale che evitava di creare contatti con altra gente, trattenendo anche i loro documenti di identità».
Il 7 febbraio cinque di loro si sono ribellati e rivolti alla Cgil.
«La possibilità di estirpare il fenomeno esiste – ha specificato Antonio Gagliardi – ad esempio con la legge 199 del 2016 contro lo sfruttamento lavorativo del caporalato». Serve un tavolo tecnico secondo il segretario generale della Cgil Puglia Pino Gesmundo: «Abbiamo bisogno di un tavolo permanente che monitori l’applicazione della Legge 199 ma non solo, che crei vincoli e maggiore controllo attorno ad un fenomeno che oggi denunciamo a Taranto ma che riguarda tutta la Puglia devastando il mercato del lavoro. Vogliamo lanciare un messaggio forte alle associazioni imprenditoriali e datoriali del settore, basta con il sottacere il fenomeno criminoso che lede la dignità dei lavoratori e inquina un sistema di relazioni. Dobbiamo lavorare tutti insieme, istituzioni, enti di controllo, rappresentanze del mondo del lavoro e associazioni datoriali. Prendiamo atto che il caporalato esiste e che insieme possiamo debellarlo per il buon nome dell’agricoltura pugliese che fa economia sana. Si parla di negazione dei diritti umani, è qualcosa che dovrebbe interessare tutti». Proseguono le indagini e la lotta contro il caporalato, intanto, secondo le testimonianze dei braccianti, in quel capannone ci sarebbero ancora dei loro connazionali in stato di schiavitù. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia