L'incontro ci sarà seppure con tutte le incognite del caso. Alle 13 di oggi, al ministero dello Sviluppo economico, le organizzazioni sindacali metalmeccaniche...
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La delegazione di Am Investco sarà composta dai manager Geert Van Poelvoorde, Annalisa Pasquini e Samuele Pasi; i sindacati saranno rappresentati dai segretari generali di Fiom, Fim, Uilm, Usb e Ugl metalmeccanici. Un confronto diretto dopo gli ultimi incontri a vuoto in cui il ministro Di Maio aveva voluto coinvolgere tantissimi attori della vicenda, dall'associazionismo agli enti locali di diverse regioni. Inevitabilmente, lo spazio era stato minimo mentre oggi torna la formula classica della procedura ex articolo 47: azienda, sindacati e governo a mediare.
Ciò che praticamente si era interrotto il 10 maggio. A coordinare c'erano ancora l'ex ministro Calenda e la vice Bellanova, la piattaforma fu rigettata dai sindacati e prevedeva 10mila lavoratori assunti da Am Investco a tempo indeterminato con una discontinuità solo formale, poiché ai lavoratori sarebbero stati riconosciuti i diritti pregressi; garanzia di escludere il ricorso a licenziamenti collettivi per 5 anni; impegno, inizialmente fino a giugno 2021, a trasferire lavoro ad una nuova Società di Servizi (denominata Società per Taranto), costituita da Ilva e da Invitalia per non meno di 1.500 addetti a tempo pieno. Su questa attività sarebbero stati impegnati a rotazione i lavoratori in cassa integrazione di Ilva non trasferiti in Am Investco; impegno a preferire le aziende locali dell'indotto a parità di costo e di qualità della fornitura. I restanti lavoratori, circa 2.300, sarebbero restati in As con una dotazione di 200 milioni di euro per consentire esodi volontari, incentivati fino a 100mila euro a lavoratore.
La trattativa saltò malamente con accuse reciproche tra l'ex ministro Calenda e una parte dei sindacati. Successivamente, in attesa della formazione del nuovo governo, segreterie nazionali metalmeccaniche e ArcelorMittal provarono a bypassare la mediazione con interlocuzioni dirette a Roma ma lo scoglio principale restava quello occupazionale. ArcelorMittal ha sempre fatto riferimento al contratto firmato lo scorso anno e i numeri sono poco modificabili: le assunzioni si fermerebbero a 10mila - negli incontri si sono ipotizzate 500 unità in più - ma il problema resta soprattutto la soglia post 2023, ossia dopo il piano industriale. Nelle intenzioni dell'azienda, ricordiamo, scenderebbe a 8.480. I sindacati hanno invece sempre insistito sulla copertura per tutti i lavoratori (la platea del gruppo è di 13.700 unità) salvo coloro che dovessero accettare gli incentivi all'esodo o si agganciassero alla pensione fra qualche anno.
Poi è arrivata l'era Di Maio. Con tanti passaggi che si sono susseguiti: l'investitura dell'Autorità nazionale anticorruzione prima, dell'avvocatura di Stato poi, una proroga fino a metà settembre e incontri al ministero infruttuosi e allargati. E dubbi mai dissipati sulle intenzioni del governo con dichiarazioni contrastanti tra i vicepremier nonché azionisti di maggioranza dell'esecutivo e di due differenti partiti. Oggi il quadro dovrà essere inevitabilmente più trasparente altrimenti anche la trattativa sindacale - già di per sé complicatissima e con una clessidra che scotta - si impantanerebbe ancor di più. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia