«Il giorno 26 agosto 2010, alle ore 17,20 in Avetrana, presso gli uffici della stazione Carabinieri la signora Serrano Spagnolo Concetta denuncia quanto segue: Verso le...
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La più intrigata, orrida e singolare vicenda di sangue che ha conquistato uno dei posti più alti nella scala degli orrori contemporanei. A recarsi in caserma quel pomeriggio, erano state le due sorelle, Concetta, mamma di Sarah e Cosima, mamma di Sabrina, entrambe interpreti principali del noir di Avetrana. Quel verbale di scomparsa resterà tale per 41 giorni. Sino al 6 ottobre successivo quando, con una drammatica confessione, lo zio della quindicenne, Michele Misseri, fa scoprire il corpo di Sarah in un pozzo in contrada Mosca dove lui stesso, il pomeriggio di quel 26 agosto, lo aveva gettato quando era ormai privo di vita. Ad ucciderla, diranno le tre sentenze che si sono succedute tutte con verdetto unanime, erano state la cugina Sabrina Misseri con la zia Cosima Serrano, figlia e moglie del contadino di Avetrana.
Le due donne stanno scontando l'ergastolo rinchiuse nella stessa cella nel carcere di Taranto. Nella speranza che la Corte Europea per i diritti dell'uomo dica sì alla richiesta di riapertura del processo così come chiesto dai loro avvocati, Franco Coppi del foro di Roma e Nicola Marseglia del foro di Taranto. Lui è rinchiuso a Lecce con una condanna ad otto anni per soppressione di cadavere. Da quel 26 agosto di dieci anni fa, era di giovedì, passeranno ancora due giorni prima che la scomparsa cominciò ad interessare la stampa e quindi diventare di dominio pubblico. Cominciarono a circolare le foto di Sarah.
A distribuirle era la cugina Sabrina che alternava il ruolo di parente affranta e preoccupata, a quello di esclusivo «gancio» per gli organi d'informazione. Quelli televisivi, soprattutto, tessendo rapporti confidenziali con inviati, conduttori di programmi e direttori di rete. Era lei che organizzava fiaccolate, che rilasciava interviste, dichiarazioni stampa, era sempre lei che prendeva accordi per le esclusive, un po' Rai un po' Mediaset. Sulla sua agenda, in pochi giorni comparvero i nomi e i contatti dei più noti giornalisti di testate regionali e nazionali. Tutti la cercavano e lei si concedeva con parsimonia, con furbizia, quasi, tessendo quel piano che, dalle indagini e in seguito da quanto emerso nei processi, sarebbe dovuto servire a costruire la rete dei depistaggi.
Nessuno sospettava di lei, tranne chi investigava in silenzio. Come i due pubblici ministeri titolari dell'inchiesta, il pubblico ministero Mariano Buccoliero con l'allora procuratore aggiunto Pietro Argentino che già il 30 settembre la convocarono negli uffici del comando provinciale dei carabinieri a Taranto per un lunghissimo interrogatorio a tratti drammatico. Sei giorni dopo, la stessa cosa toccò al padre, Michele, che confessò un delitto che non ha mai commesso per mantenere fede a quell'accordo di famiglia. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia