Buffon, addio al calcio. Sarà capo delegazione della Nazionale di Mancini

Il numero uno ha deciso di appendere i guantoni al chiodo

Buffon, ecco la decisione: niente Arabia, l'ex portiere della Juve lascia il calcio
Le figurine non invecchiano, al massimo si stropicciano un po', e quella di Gigi Buffon farà per sempre parte della storia dei numeri uno, accanto a Dino Zoff nella...

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Le figurine non invecchiano, al massimo si stropicciano un po', e quella di Gigi Buffon farà per sempre parte della storia dei numeri uno, accanto a Dino Zoff nella leggenda juventina e azzurra. Ha iniziato in Serie A bambino, a 17 anni, ha smesso con la barba bianca in B a 45 anni e qualche mese, mezza vita in campo spingendosi oltre i suoi stessi limiti e dilatando i tempi di una carriera immensa. Chiusa al Parma, dove tutto è iniziato grazie all’intuizione di Nevio Scala che lo fece esordire al posto di Luca Bucci nel 1995, contro un Milan straordinario. Fermato grazie a parate altrettanto straordinarie di un ragazzino prodigio, tra lo stupore di Weah, Baggio e Fabio Capello.

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Spinto da un istinto innato e la forza di una sfrontatezza figlia di mezzi fisici e tecnici rari, Gigi Buffon si è conquistato Juve e Nazionale, vincendo tutto ad eccezione di Pallone d’Oro e Champions, il primo sfiorato nel 2006, la seconda incubo ricorrente in maglia bianconera. L’uomo con più presenze (176) di sempre in maglia azzurra, secondo solo a Del Piero nelle statistiche della Juventus, da ragazzino un po’ incosciente tutto istinto e entusiasmo è diventato grande, superando problemi in campo (infortuni) e fuori (depressione) fino a diventare quel campione maturo e modello di riferimento che conosciamo oggi. Spinto sempre e solo da fame e motivazioni, le stesse che gli hanno suggerito di appendere i guantoni al chiodo senza prendere in considerazione l’ultima tentazione dall’Arabia Saudita. La sua carriera fuori dal campo ripartirà dall’azzurro, a capo della delegazione dell'Italia di Roberto Mancini, ereditando il ruolo del compianto Gianluca Vialli.

Ha detto due volte addio alla Juventus, tornando dal Psg e accettando il ruolo di secondo alle spalle di Szczesny. E ha risposto sul campo a chi lo aveva dato per finito - almeno ad altissimo livello - dopo il delicato intervento chirurgico del 2010 per una rimozione di un’ernia discale. Si è preso critiche e rivincite, con quella leggerezza che lo ha aiutato a sopportare anche le sconfitte più antipatiche. Successi, gioie e lacrime, per quasi tre decenni, lottando tra i pali e sostenendo Juve e Nazionale come solo un capitano poteva fare. Un predestinato che però non si è mai accontentato delle doti innate, e si è sempre messo alla prova con un senso del lavoro e di responsabilità che gli hanno consentito di fare il passo in più. Ha trovato il suo equilibrio dopo aver sconfitto la depressione a 25 anni, e ora si godrà la famiglia che fino a ieri ha sempre dovuto mettere al secondo posto, dopo il pallone.

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Quotidiano Di Puglia