Sono passati 102 anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922), e 49 dalla sua morte, anni che hanno visto la Storia accelerare a gran velocità e il...
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Martinelli, come è nata l'idea di questo spettacolo?
«Il nostro omaggio a Pasolini è nato due anni fa come pezzo radiofonico in occasione del centesimo anniversario della nascita, e fu trasmesso su Radio 3 proprio il giorno del "compleanno". La commissione è venuta da Laura Palmieri, giornalista Rai che ci conosce da sempre e sapeva del nostro legame con Pasolini. E ci ha chiesto di raccontarlo dal nostro punto di vista».
A quando risale il vostro "incontro" con Pasolini?
«Sin dall'adolescenza, prima ancora di iniziare a fare teatro, quando andavamo a vedere i suoi film, da "Accattone" a "Mamma Roma", dal "Vangelo secondo Matteo" a "Uccellacci e uccellini", con il cui titolo abbiamo "giocato" per quello del nostro lavoro».
Dalla radio al teatro: come è avvenuto questo passaggio e come si svolge il racconto?
«Direi in continuità, perché la sera della diretta non eravamo in studio ma in un altro posto con il pubblico che assisteva a questa lettura. E tutti ci chiesero di non farlo finire lì ma di portarla in giro perché, a loro dire, reggeva anche dal punto di vista teatrale. E così, insieme a Luca Pagliano che cura il disegno luci ed Ermanna che si occupa della scena, lo abbiamo fatto diventare una lettura - concerto. Io racconto il nostro Pasolini, Ermanna invece presta la sua voce al poemetto del 1964 "Una disperata vitalità", e Daniele Roccato con il contrabbasso cuce e intarsia le nostre parole spaziando con la sua musica e reinventando la tradizione, da Bach a "Bella Ciao"».
Ritorniamo al titolo parafrasato appunto da "Uccellacci e uccellini". Cosa rappresenta per voi questo film?
«Per noi il suo vero testamento non è "Salò", l'ultimo film sempre definito il "canto di morte" e "inferno terribile". Noi invece pensiamo che il suo vero messaggio sia presente in "Uccellacci e uccellini", film di una grazia lunare, capace sì di guardare il mondo nei suoi orrori ma anche di tenere viva una speranza. Succede negli ultimi fotogrammi quando il corvo virtuale, in cui Pasolini ironicamente si raffigura, afferma che le ideologie sono finite ma non gli ideali per i quali ha combattuto e che consegna a chi verrà dopo di lui. E lo dice, paradossalmente, prima di essere divorato da Totò a da Ninetto Davoli. E noi crediamo che sia questa l'unica parola di Pasolini che possiamo dire oggi, periodo in cui viviamo tutti i giorni un inferno che non è però senza uscita».
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Quotidiano Di Puglia